lunedì 6 agosto 2012

Sandro Naglia: LA PARTICELLA DI ...

La conferma dell’esistenza del Bosone di Higgs (o, per essere più scientificamente esatti: l’osservazione di una particella con caratteristiche compatibili con il B. di H.), annunciata ufficialmente dal CERN di Ginevra il 4 luglio scorso, ha giustamente monopolizzato le prime pagine dei giornali, seppure per brevissimo tempo. Devo dire che fa piacere vedere una straordinaria e capitale scoperta scientifica sostituire una volta tanto le povere beghe politiche strapaesane nell’attenzione imposta dai mezzi d’informazione al pubblico (anche se sospetto che i giornalisti abbiano colto al volo soprattutto il lato “folkloristico” della notizia, incluso lo scienziato in lacrime ecc.).
Io non sono affatto un addetto ai lavori, ma detto in soldoni l’importanza della conferma dell’esistenza di questa particella — che era stata ipotizzata fin dal 1964 — è legata al suo ruolo di “aggregatore” della materia. Nella teoria del Big Bang c’era ancora “l’anello mancante” che portasse dal manifestarsi dello spazio-tempo dopo l’esplosione originaria al primo istaurarsi della materia: il Bosone di Higgs sarebbe proprio la particella che, conferendo la massa alle particelle, darebbe di conseguenza origine alla forza di gravità, creando le premesse per l’aggregazione della materia. Di qui il soprannome di “Particella di Dio”.
Premetto a quanto segue: io personalmente, seguendo una tradizione filosofica che risale ai Veda e passa per Parmenide, credo in un Universo eterno, increato, immortale e onnicomprensivo, dove quindi non “c’è bisogno” della figura di un Dio creatore, e d’altro canto il Big Bang — che sarebbe la matrice della nostra stessa possibilità di concepirlo, l’Universo — si sarebbe manifestato in ogni caso all’interno di un “qualcosa” preesistente (dal Nulla non può originarsi nulla).
Quello che forse non tutti sanno è che il soprannome “Particella di Dio” dato al Bosone di Higgs deriva dal titolo di un libro di fisica divulgativo: The God Particle: If the universe is the answer, what is the question?, pubblicato nel 1993 dallo scienziato Leon Lederman (la traduzione italiana è stata pubblicata da Mondadori nel 1996). Questi però aveva originalmente soprannominato il B. di H. “Goddamn particle”, che in italiano si dovrebbe rendere con un’espressione a metà tra “particella maledetta” e (perdonatemi) “particella del c...”, a causa della sua inafferrabilità e resistenza all’identificazione da parte dei fisici. L’editore del saggio censurò l’espressione, e la abbreviò in “God particle”, data anche la valenza metaforica che poteva derivare da tale soprannome (che poi bisognerebbe tradurre correttamente “Particella-Dio” e non “di Dio”).
Higgs ha sempre rifiutato questa definizione, perché — da ateo — la trovava offensiva nei confronti dei credenti, dato che oltretutto l’esistenza di questa particella avrebbe potuto finire di smantellare — almeno da un punto di vista “razionale” — molti pilastri su cui si basano diverse religioni riguardo all’idea di una Creazione.
E che non si dica che gli atei sono sempre degli oltranzisti...



REPLICHE


Marco Tornar: Che la particella sia di per sé nozione atea non mi pare una novità — la novità semmai è la Particola — un c... non ci vuole a sistemare l’universo SENZA il Corpo Purissimo di Nostro Signore Gesù Cristo — il problema è il contrario —


Giancarlo Giuliani: Non vi è contraddizione tra scienza e “Dio”, a meno che non si consideri un Dio con “caratteri personali”, cosa che solo la nostra suprema presunzione di uomini poteva produrre. Credo in un universo come corpo unico, e me ne sento cellula, ma il passaggio a indicare un Dio-persona come autore dello stesso non ha alcuna giustificazione filosofica, è un atto del cuore, della speranza, o, se volete, della paura. La scienza non c’entra. Abbiamo fatto un passo avanti nella conoscenza. Questo è tutto.


Marco Tornar: La conoscenza è tracotanza — c’era scritto pure a Delfi — Ma per essere attuali “Tutto questo ritornare dimostra solo quel che dico io, che non esiste progresso — e si gira in un cerchio” (Lacan).


Arturo Bernava: Quando una particella mi invaderà il cervello, il cuore e l’anima (ovunque essa sia, quella cosa nera e putrida!) allora la chiamerò particella di Dio. / Quando una particella la chiamerò e sentirò una pressione sul capo e la certezza che non sono solo, allora la chiamerò particella di Dio. / Quando una particella mi darà una speranza, quando tutto intorno a me sembra averla persa, allora la chiamerò particella di Dio.
Sono molto soddisfatto che la ricerca scientifica si evolva e dia risposte sino ad ora soltanto ipotizzate. Ma ritengo profondamente ingiusto nominare il nome di Dio invano, soltanto per questioni di “marketing”. Come dice Sandro Naglia nel suo articolo, la traduzione letterale non è “particella di Dio” e allora perché chiamarLo in ballo senza motivo? Forse per avere più risalto sui giornali di tutto il mondo? Non voglio sminuire la portata della scoperta (che lo ripeto - sebbene io sia un profano della materia - mi rende in qualche modo orgoglioso), ma sono convinto che se l’avessero chiamata “particella del cavolo” non avrebbe avuto tutta questa risonanza.
Ecco... partire da una “scorrettezza” lessicale, in nome di una maggiore risonanza mediatica, probabilmente nulla toglie al valore della scoperta, ma dal mio punto di vista ne opacizza l’importanza. Un po’ come sei io scrivessi un libro e invece di firmalo Arturo Bernava lo firmassi Gesù Cristo, perché non sono molto convinto del contenuto del libro e allora punto tutto sul nome in copertina.
Lo ammetto: ho estremizzato un po’ il concetto (giusto un po’), però pure loro...


Marco Tabellione: La scienza non potrà mai avere l’ultima parola, per quanti sforzi faccia, per quanti passi evolutivi compia (sempre che si possano continuare a chiamare evoluzione certe aberrazioni dell’espansione tecnologica), rimarrà sempre un passo in più che essa non sarà in grado di colmare. E’ come per i numeri, sono infiniti perché ne puoi sempre aggiungere uno. Purtroppo, o meno male a seconda dei punti di vista, si potrà sempre aggiungere Dio alla fine dell’ultima scoperta. Chi l’ha fatta questa particella di Dio? Dio? E chi è Dio? Dov’è? Questo la scienza non potrà mai dirlo, e forse neanche vuole. Ciò significa che la religione avrà sempre il suo spazio, sempre la sua importanza. Senza tenere conto del fatto che la religione può toccare dimensioni spirituali che la scienza ignora e vuole ignorare. Certo, non è solo alla religione che dobbiamo attribuire il compito di indagare la dimensione spirituale, ma è indubbio, per quanto mi riguarda, che al di là di quella particella, al di là dell’ultimo numero, si apre lo spazio spirituale e misterioso, e lì non è la ragione che domina. Il resto sono solo beghe su nomi.

domenica 29 luglio 2012

Recensione: LEGGENDE DEL LAGO DI SCANNO di Italia Gualtieri e Diana Cianchetta

Questo libro ha il sapore dei racconti accanto al fuoco, in montagna, oppure presso il focolare nelle sere d’inverno. Ricostruisce la trama di antiche storie, donandoci il fascino della fiaba, della leggenda che si mescola alla storia, che costruisce il tessuto connettivo di una comunità. Su tutto c’è il lago, da sempre scenario privilegiato di storie e avventure.
Ecco allora svelarsi ai nostri occhi la terribile maga Angiolina, la cui storia è narrata con la fiabesca fluidità che riesce a ottundere anche l’impatto di sanguinose scene di battaglia, come il fallito assalto al castello. Ancora oggi, dice la leggenda, intorno al lago possono trovarsi delle pietre, residuo di quell’immane battaglia. Non manca poi, tipico anch’esso delle fiabe, il contrasto tra bene e male, con un momento in cui il nobile atteggiamento di una principessa rapita induce nella maga un insolito sentimento, che tanto assomiglia all’amore.
Vera metafora dell’esistenza è il racconto del venditore sconosciuto e del suo lungo e tormentato viaggio, fino a trovare salvezza grazie a un miracolo della Madonna del Lago e poi a terminare la sua vita proprio a Scanno. La storia è all’origine del culto particolare tributato alla statuina della Madonna e della suggestione per la quale il lago avrebbe la forma di un cuore.
Amore e morte si mescolano, come nella contesa tra la maga Angiolina e Pietro Baialardo, oppure nella cruenta leggenda dell’origine del lago, al tempo della grande battaglia contro le truppe dell’imperatore Augusto. Con tenerezza si legge la storia dell’amore della leggiadra Donna Giovannella per il nobile Cantelmo, che lascerà la sua vita in Terrasanta. Un amore che dura oltre la morte, con la leggenda della fanciulla che attende sempre l’impossibile ritorno dell’amato, prigioniera in un’oscura grotta sotto la sorveglianza di un terribile drago.
Sempre, però, è presente il tema del “sacro”, già evidente nella redenzione di Pietro baialardo, ma ancora di più nella storia del pastore, due volte testimone dell’apparizione di un raggio luminosissimo, indizio della presenza divina. L’evento è all’origine dell’usanza degli abitanti di Scanno di trasportare la Madonnina in paese quando vi sono eventi che turbano particolarmente la comunità. Un libro da leggere.


Giancarlo Giuliani


Italia Gualtieri e Diana Cianchetta
Leggende del lago di Scanno
NaTourArte, 2007

lunedì 23 luglio 2012

Fotografie (ricordo di Umberto Timmonieri) di Arturo Bernava


Il tempo è fatto di fotografie. 
Le rivedo in ordine, alcune in bianco e nero, altre a colori, a scandire i ritmi della conoscenza, dell’amicizia.
Come nasce una storia, Umberto? Quali strani e arcani meccanismi si innescano nella mente dell’autore, per trasformare la nebulosa alea di un pensiero in uno scritto da consegnare agli affamati lettori?
Tante sono ancora le domande che vorrei farti, a tante altre vorrei rispondere. Ma tu non ci sei, sei andato avanti, e io cerco di fermarti in una fotografia, per tradire la tua assenza, per annullare il mio silenzio. Ecco sì, in silenzio perché sono inutili le parole dell’assenza.
La scruto la prima fotografia, il primo frammento del ricordo di quel minuscolo studio televisivo. L’hai descritto bene, mirabilmente, il tuo mondo, quello dal quale fuggire soltanto per ascoltare il cinguettio degli uccelli. In “Basta contare” — il racconto che chiude il tuo libro — lo hai colorato con quella sapienza che solo un comunicatore esperto poteva disegnare, la stessa sapienza dei semplici.
Ed eccola finalmente la prima fotografia: tu seduto sul tuo sgabello, a contare i passi della tua mente che cerca frettolosamente il difficile cognome dell’autore di turno. Eccola nell’eloquio colorato della tua semplicità, caratteristica importante e niente affatto scontata.
Ma non solo libri nella tua carriera. Attualità, giornalismo, l’innata capacità di tratteggiare un mondo che si vede anche solo con gli occhi dell’anima. E quindi quel “TG insieme” da cui, forse, hai tratto il tuo primo racconto, quella “Porta dei sogni” che ha rappresentato però l’incubo di un mondo che sta andando troppo veloce.
Un mondo che volevi fermare, per scendere nella tua fotografia. È bello a volte fermarsi. Essere riconosciuto non perché mettevi gli occhi sulla mia faccia, ma perché qualcuno — la dolce Alba Chiara — portava i tuoi occhi con sé e ti lasciava i suoi, come segno di un’intima appartenenza.
Come nasce una storia Umberto?
Come si riconosce “La forza del destino”? Come si fa a comprendere se siamo lupi o iene, o — ancora peggio — uomini con l’iniziale minuscola?
Tu lo sai, noi no. Perché forse siamo noi ad esser fermi in una fotografia.
E ti rivedo in un’altra immagine, mite nei modi e nei termini, estremamente elegante mentre cadenzi il tuo eloquio rotondo. Ti rivedo sorridente e gentile, pronto allo scherzo e soprattutto all’ironia. Ti ho scoperto saldo e rigoroso nei principi, fedele alla strada intrapresa, coraggioso nell’affrontare le mille difficoltà del vivere quotidiano.
Ora nella fotografia che ci ferma io potrei salutarti e lasciarti andare. Però non ho ancora capito: come nasce una storia, Umberto?
E leggo ancora una volta il tuo terzo racconto, quello che dà il titolo all’intero libro. “È così che nasce una storia”. Lo conosco bene, ho firmato la presentazione, ho curato l’editing, eppure rileggerlo mi dona sempre un’emozione diversa.
E nella consolazione della lettura all’improvviso comprendo: la storia nasce dalla forza delle scelte, dalla capacità di plasmare la nostra esistenza. “Quisque faber fortunae suae”. Oh sì, tu sì che sei stato artefice del tuo destino. L’hai plasmato e piegato con la forza della determinazione, l’hai vinto quando questi credeva di averti sconfitto. E rileggere la tua storia mi dona un’inspiegabile serenità, ma anche una voglia irrefrenabile di discorrere ancora con te, di confrontarmi con la tua arguzia e di giocare con la tua ironia.
Ti penso e il pensiero dà forma a una fotografia, forse l’ultima. Ti vengo incontro, perché posso ancora vederti e leggerti e commentare il senso della tua immortalità, il tuo libro. Quello stesso che tieni in mano, che afferri quasi con pudore, con imbarazzo.
L’espressione persa, l’immancabile ironico sorriso sul volto e la consapevolezza che non si diventa immortali solo per aver scritto un libro, ma perché si è entrati nel cuore delle persone.
Mi fermo e ti guardo sorridere. Penso che sono stato fortunato a conoscerti, onorato di aver potuto lavorare con te.
E stavolta sorrido anch’io, perché nella sera che oscura le fotografie, posso ancora ringraziarti

Arturo Bernava

domenica 22 luglio 2012

Recensione: I PENSIERI DEGLI ANGELI di Giovanna Mancini

Rudolf Steiner disse che se il Mistero del Golgota fosse comprensibile con la ragione umana non ci sarebbe stato bisogno che il Mistero del Golgota avvenisse, sarebbe stato perfettamente inutile. Dunque altrettanto opportuno estendere il concetto ad altri ambiti spirituali. Confessiamo un nostro iniziale pregiudizio poi subito sfumato verso I pensieri degli Angeli di Giovanna Mancini, nonostante la bella veste editoriale. 
Per quanto riguarda la letteratura sugli uccelli di Dio davvero arduo fare a meno dello pseudo Dionigi Areopagita e di Dante – ossia dalla complessa rappresentazione di intelligenze celesti per esempio dal movimento ultrarapido nel Primo Mobile (i serafini) o  dalla forma di ruote intersecantisi due cerchi gerarchici dopo (i troni).
Ma anche questo un trabocchetto della ragione, perché l'inusuale sensazione di piena serenità interiore che infonde la lettura del libro della Mancini – già dopo le prime pagine – non è certo rinviabile alla categoria dei libri commerciali e New Age  involgarenti ancora l'argomento.
Riguardo all'“uso del libro” l'autrice stessa scrive che “aiuta a vivere il momento del qui e ora” e avverte addirittura che ogni corsivo tipografico corrisponde a un “punto di luce, uno dei possibili sguardi nell'infinito”. Senz'altro credibile – ed è illuminante questa riflessione sulle potenzialità del carattere della lettera scritta – tanto più in testi mossi da grazia e da un'ingenuità da intendersi nel senso più nobile del termine.
Può la ragione umana tentare di figurarsi entità spirituali irradianti una tenerezza forse più forte di quella che sulla terra sprigionano i cuccioli? Certamente no. Perciò questo libro di piacevolissima e semplice lettura, oltre alla bontà che lo pervade, alla cura offrente a chi soffre, si eleva come potente sfida.
Nella seconda parte si associa a ogni angelo un colore, arrivando alla classificazione di ben ventuno specie spirituali – ovviamente del tutto estranea a qualsiasi canonica speculazione teologica. E tuttavia ci crediamo.
La purezza di scrittura degli angelici messaggi della Mancini è tale da provocare al lettore un potente richiamo superiore – incondizionato, libero da critiche riserve e censure – a cui è giusto abbandonarsi. Le diecimila copie vendute le meritano tutte questi Pensieri. In tempi tanto ilici ciò non può non apparire come provvidenziale meraviglioso tassello da aggiungere sul sentiero dell'umano progresso spirituale.

Marco Tornar


Giovanna Mancini
I PENSIERI DEGLI ANGELI 
il Ciliegio edizioni
Lurago D'Erba 2010
p. 253 euro 15,92

http://www.edizioniilciliegio.com/libri-giovanna-mancini-i-pensieri-degli-angeli-9659.html



giovedì 12 luglio 2012

EDITORIA: ABRUZZO LETTERARIO, L'ALTA CULTURA COMPRENSIBILE (di Erminio Cavalli)

Sta per uscire il secondo numero di Abruzzo Letterario, “una rivista di arte, folklore e musica”. Così recita il suo sottotitolo: ma c’è dell’altro. Tant’altro ancora.

Stiamo parlando di un progetto editoriale davvero ricco e interessante, rivolto soprattutto a chi ama leggere, ma anche a chi ha passione per la scrittura. E magari non trova ancora l’occasione, il “coraggio” di proporsi.

La rivista è pubblicata da Tabula Fati, grazie ad un’idea del suo direttore Marco Solfanelli, da pochi giorni nuovo Presidente dell'Associazione Editori Abruzzesi.

AbruzzoWeb ne ha parlato con lui.

Come nasce l’idea di Abruzzo Letterario?

Da una delusione. Dalla scoperta che una recente iniziativa editoriale settimanale si limitava a riservare uno spazio davvero irrisorio alle pubblicazioni letterarie di carattere regionale. Ritenevo fosse giusto e interessante pubblicare una rivista che si dedicasse prevalentemente a una produzione letteraria abruzzese e a una valorizzazione culturale del nostro patrimonio di uomini e di idee.

La sua rivista si rivolge a un pubblico specifico?

Abruzzo Letterario non è una rivista elitaria. Tutt’altro. L’intento è quello di rivolgersi a chiunque. Per questo abbiamo scelto di dare molta importanza alla semplicità di lettura, anche per favorire e stimolare l’approccio verso questo tipo di realtà. I nostri articoli ideali sono infatti quelli intelligenti ma che possano al contempo risultare fruibili da chiunque.
Una lettura alta ma comprensibile.

A guardare la copertina e il volto di Flaiano balza agli occhi un certo gusto retrò. Una scelta voluta?

Sì, decisamente. Mi sono ispirato al Conciliatore, una rivista a me cara. Sull’illustrazione della copertina verrà pubblicato ogni volta un autore diverso, insieme alla sua città di riferimento. Stavolta volevo che fosse Ennio Flaiano il simbolo della nostra identità.

La veste grafica potrebbe trarre in inganno. Si tratta in realtà di una rivista che sorride al passato, ma per guardare al futuro. Mi sembra molto underground. Non è così?

Penso di sì. Tanto per capirci, ho voluto fortemente che non ci fosse nessuna pubblicità per Abruzzo Letterario. Il mio più grande desiderio è che questa iniziativa possa crescere nell’ombra, diffondersi quasi come un fiume carsico. In questo senso possiamo definirla underground. Deve avere una certo sapore misterioso, deve lasciarsi scovare.

Tra Abruzzo Letterario e altre riviste più o meno diffuse nel nostro contesto esiste una sostanziale differenza?

Non credo. Esistono molte realtà interessanti nella nostra regione, ma non riescono ad avere una voce. La mia rivista non vuole essere diversa da queste, né ha l’ambizione di essere migliore. Semplicemente, è una voce in più, che spero possa avere il suo successo.

Chi scrive per la sua rivista?

Sono per il momento amici, appassionati di letteratura, di certo tutti rigorosamente al di fuori degli establishment culturali. Lo scopo è anche quello di recuperare vecchi scrittori ormai scomparsi e affiancarli ad autori moderni. Nostro fiore all’occhiello è il giornalista Giacomo D’Angelo, un professionista di grande esperienza. Nella mia rivista lui ha il compito di uscire dal politicamente corretto. Grazie al suo prezioso contributo, vogliamo dare risalto ad una voce decisamente controcorrente.

Abruzzo Letterario contiene saggi storici, poesie, racconti, ma anche illustrazioni, testi visivi. Di tutto di più. Ma c’è una sezione che le sta particolarmente a cuore?

La rubrica sulle recensioni librarie perché ci sono tantissimi autori abruzzesi che meritano di essere scoperti. Questa rivista è dedicata a loro, anche a chi non trova particolari motivazioni a scrivere, a farsi conoscere. Dobbiamo tutti avere coraggio ed entusiasmo. E fidarci delle nostre potenzialità. Anche se purtroppo qualcuno sembra ignorarci.

A chi si riferisce in particolare?

A nessuno in particolare. Mi riferisco a tutto il contesto editoriale della nostra regione, che tende a penalizzare gli autori abruzzesi a vantaggio di altri. Non ne capisco sinceramente i motivi. Tanto per fare un esempio: da parte degli organizzatori di eventi culturali esiste oggi una sottostima di autori locali. Sono molti gli scrittori italiani che vengono invitati a eventi, conferenze, ma non sono mai abruzzesi. I nostri vengono messi da parte o relegati in qualche modesta recensione di giornale.

Questo atteggiamento grida vendetta. L’Abruzzo viene visitato da molti per la sua bellezza paesaggistica, per la qualità della sua cucina, del suo olio, del suo vino, ma nessuno che mostri la volontà di proporre la nostra cultura. Questa rivista nasce per dare spazio a tutte quelle voci che non possono restare emarginate. Mi auguro che avranno con Abruzzo letterario un’occasione in più per provare ad esprimersi.


http://www.abruzzoweb.it/contenuti/editoria-abruzzo-letterario-lalta-cultura-comprensibile/484116-1/


sabato 30 giugno 2012

ABRUZZO letterario n. 2 (aprile-giugno 2012)



Sommario del n. 2

LA MAIELLA E IL MITO, racconto di Donatello D'Orazio

LETTURA E ANALISI DELLA MUSICALITÀ in “La pioggia nel pineto”di Gabriele D'Annunzio, di Marco Tabellione

IL TEATRO DELLE MARIONETTE DI BORGOMARINO DI PESCARA, di Vito Giovannelli

Intervista a: GIOVANNI D’ALESSANDRO, a cura di Arturo Bernava

SULLA MADONINA DI FRANCESCA ALEXANDER, di Marco Tornar

POESIE di Chiara Coppa Zuccari, Anna Maria Giancarli, Daniela Quieti, Francesco Marroni, Gulnara Sharafutdinova, Marco Tabellione e Marco Pavoni

UN ANNO DI AMICIZIA, di Alfonso Viola

ALLITTERAZIONI, racconto di Sandro Naglia

IO SONO IL FIUME, racconto di Patrizia Tocci

IL LIBRO, racconto di Giancarlo Giuliani

GLI SCRUPOLI EDITORIALI DI DON RAFFAELE, di Giacomo D’Angelo

L'ABBAZIA DI SAN PANCRAZIO, di Nicoletta Travaglini

Recensioni: V. Moretti, LUOGHI; D. Quieti, L’ULTIMA FUGA; S. Ciocca, STORIE DI LETTERE; C. Mosca, E DONNE INFREDDOLITE NEGLI SCIALLI; J. de La Fontaine - E. De Marchi, TROIS FABLES; Dante Alighieri - G. Gordon Byron, FRANCESCA DA RIMINI; E. Aurelio, OCCHI DI RAGAZZO



Arti grafiche: MIRKO SANTANGELO

Arte della fotografia: PIERO BOSCO


Illustrazione dei racconti di Pellegrino Capobianco
Copertine di Vito Giovannelli

lunedì 25 giugno 2012

LABIRINTO PRIMO di Davide Di Vitantonio arriva in libreria



“Labirinto primo”. Il titolo rimanda al mitico labirinto di Cnosso, dove Dedalo rinchiuse il mostruoso Minotauro prima di restarne prigioniero a sua volta, e di fuggire verso il sole su ali di cera. Ciò che viene qui imprigionato, sono le urla e i terrori più intimi e inconfessabili. La paura, la pietà e la vergogna eruttano violentemente le proprie ragioni attraverso queste pagine, intervallate a sprazzi da liriche di nostalgica malinconia e rabbiosa solitudine. I mesi roventi, le passioni feroci e una tristezza lucida e infinita hanno trovato la propria voce in un intrico di oscure gallerie e precipizi, disegnati sul piatto dolceamaro dell’erotismo e dell’incubo.

Laureato in Psicologia e studente di Filosofia, Davide Di Vitantonio è nato nel 1987 a Teramo, dove vive. Segnalato nel concorso internazionale di poesia “diVerso inVerso” 2011, è alla sua prima pubblicazione con Nulla die. Al momento ha in preparazione due romanzi e una nuova raccolta poetica.


Davide Di Vitantonio
Labirinto primo
poesia
pagine 60, € 10,00
ISBN: 978-88-97364-42-9

http://nulladie.wordpress.com/2012/06/10/labirinto-primo-di-davide-di-vitantonio-arriva-in-libreria/



mercoledì 30 maggio 2012

Recensione: E DONNE INFREDDOLITE NEGLI SCIALLI di Cristina Mosca


Davvero felice l’impostazione grafica. Ho visto il libro su uno scaffale e sono stato subito incuriosito dal titolo e dall’efficacia dell’immagine di copertina. Ma è solo l’inizio: il libro di Cristina Mosca è coinvolgente, lo stile è asciutto, il linguaggio fluido, molto corretto, elegante anche quando si lascia andare a qualche localismo. I primi due capitoli, con leggerezza, delineano la condizione di Sara, la protagonista: una ragazza in attesa della vita, con ritrosie e aperture tipiche di chi è ancora alla ricerca di se stessa. La notizia improvvisa della morte di due amiche segna il punto di non ritorno: il  lettore si fa più attento, legge con maggiore velocità, sente che il processo di formazione non può che svolgersi ora, pagina dopo pagina.
Ed ecco Sara al suo primo servizio, con la goffaggine, l’ansia di chi inizia un percorso non conosciuto, ma anche la determinazione di chi sa di voler emergere, avverte che c’è un’occasione da cogliere. E poi c’è Lorenzo, l’operatore, il ragazzo per il quale Sara avverte strani turbamenti. I due hanno caratteri apparentemente non conciliabili, Lorenzo ha nella testa e forse nel cuore Emilia, Sara oscilla tra l’incertezza della principiante e la forte volontà di una donna decisa a emergere.
Non è opportuno raccontare la trama, certo, ma vorrei segnalare la forza e l’incisività del capitolo ottavo e del capitolo decimo, con i ritratti psicologici di Mara e di Matteo. Attraverso il rapporto con i luoghi e le cose il personaggio si svela al lettore nei suoi moti più intimi. Folgorante, poi, il finale del capitolo decimo: “Quanto è facile morire?”.
Il tutto con la colonna sonora di canzoni e gruppi musicali che evocano tempi, luoghi e  atmosfere. Spesso, poi, si avverte il respiro della poesia, come ad esempio nella prima parte del capitolo diciotto, in cui sembra di scorgere l’incanto di un meraviglioso incontro tra la montagna, il fiume e il mare. C’è poi un’altra sorpresa: se si leggono di seguito i capitoli dispari, fino al diciannovesimo, si scopre quasi un libro nel libro. Ma questa è un’altra storia e va lasciata alla curiosità del lettore.


Giancarlo Giuliani



Cristina Mosca
E donne infreddolite negli scialli
Schena Editore, Brindisi 2007
Pagg. 144 - Euro 12,00


sabato 26 maggio 2012

Recensioni a 2 edizioni di IkonaLiber


Jean de La Fontaine / Emilio De Marchi
TROIS FABLES
IkonaLíber, Francavilla al Mare-Roma, 2012

Dante Alighieri / George Gordon Byron
FRANCESCA DA RIMINI
IkonaLíber, Francavilla al Mare-Roma, 2012


   A proposito di bibliofilia: la casa editrice IkonaLíber — nata quest’anno in concomitanza col venticinquennale d’attività dello Studio Grafico Ikona con sedi a Francavilla al Mare e Roma — dopo aver inaugurato le sue pubblicazioni con due collane di libri elettronici (“Le forme del linguaggio” e “Movimenti del suono”), propone ora una terza collana molto particolare.
   Quasi a totale contrasto con la produzione di e-books, si tratta qui di piccole plaquettes in pochi esemplari numerati, realizzate artigianalmente su carta pregiata e ulteriormente impreziosite, oltre che dalla grafica elegantissima, da fotografie originali anch’esse in tiratura limitata. Peculiarità dei testi: l’essere traduzioni “d’autore” di classici di diverse epoche (donde il nome della collana: “Janus”).
   I primi due lavori editi in questa collana sono Trois fables di Jean de La Fontaine tradotte da Emilio De Marchi, e Francesca da Rimini, traduzione di George Gordon Byron dell’episodio del V Canto dell’Inferno dantesco. Entrambe le plaquettes sono in 35 esemplari con una foto originale di Fabrizio M. Rossi.
   La traduzione del frammento dantesco, realizzata da Byron nel 1820, è probabilmente una delle traduzioni poetiche più vicine alla perfezione della storia della Letteratura, e non solo dal punto di vista tecnico. In terza rima come nell’originale, i versi tradotti praticamente in maniera letterale, e tuttavia con un ritmo poetico (byroniano) che si sovrappone seppure in maniera molto discreta a quello dantesco: potrebbe essere studiata come un manuale della traduzione, considerando oltretutto la profonda diversità fonica e grammaticale dell’inglese e dell’italiano.
   La traduzione di tre favole di La Fontaine fatta da Emilio De Marchi (l’autore di Demetrio Pianelli) percorre invece una strada opposta e complementare a quella di Byron: per essere in grado di giocare con coerenza il gioco dell’autore, il traduttore “tradisce” a volte la lettera del testo, a favore di un equivalente linguistico e poetico che salvaguardi il senso profondo dell’originale (straordinaria, in particolare, la resa de L’uomo e la sua immagine).
   Nel panorama dell’editoria italiana, il riferimento d’obbligo per questa collana di IkonaLíber è sicuramente Pulcinoelefante, la casa editrice di Alberto Casiraghi che pubblica una plaquette quasi ogni giorno, ancora con la stampa a caratteri mobili. Pochissimi esemplari peraltro fuori commercio: un mito per i bibliofili. Auguriamo a IkonaLíber la stessa fortuna per un’iniziativa che afferma in maniera sublime la fede nella qualità e nel valore insostituibile della carta stampata, in un’epoca che sembra tendere invece a volerla svilire a tutti i costi.

Sandro Naglia

mercoledì 16 maggio 2012

Recensione: GIUSEPPE CAPOGRASSI di Vincenzo Lattanzi (Edizioni Solfanelli)

Trovo molto bello il libro di Vincenzo Lattanzi. L’incipit è assai felice, dà il tono che sarà proprio di tutta l’opera, elimina subito nel lettore il senso di “freddezza” che si ha di solito all’approccio con una biografia. Lattanzi scrive con amore, si sente in ogni parola, eppure non abdica all’obiettività, offre un ricco e convincente apparato di note, prezioso per chi voglia conoscere meglio Capograssi, uomo di grande talento, troppo spesso non adeguatamente considerato (Lattanzi sottolinea con amarezza la sottovalutazione operata da Garin , pur indicandone correttamente le probabili ragioni).
Lo stile dello scrittore è brillante, ricco senza essere stucchevole, denso di impliciti richiami a una profonda cultura personale, pieno di sensibilità e rispetto, sia per il lettore, sia per le persone di cui parla. Con pochi e incisivi tratti delinea lo sfondo storico-sociale di ognuno dei momenti topici della vita di Capograssi, sottolineando come già da giovane il filosofo (ci si perdoni questo termine limitante, forse, ma che ci pare essere la vera sostanza dell’attività di Capograssi. Mai le sue posizioni hanno il peso dell’assertività, c’è sempre un tentativo di risalire alle cause, di prevedere gli effetti, di sentirsi parte di un tutto) mostrasse tutto il suo potenziale talento, nutrito di cultura umanistica, affezionato a quel Vico che sarà sempre il suo riferimento primario, attentissimo, però, alla realtà, all’applicazione pratica, alla vita di tutti i giorni. Mai così felicemente s’incontrarono letteratura, filosofia e diritto! Partito da uno storicismo di matrice crociana, mostra subito la sua originalità quando si distacca da D’Annunzio, mantenendo saldo il suo tendere al bene comune, caratteristica che lo accompagnerà per tutta la vita.

Allo stesso modo, nella tesi di laurea, rifiuta la tendenza “metafisica” ancora evidente in Orlando e sente in modo evidente la necessità di salvaguardare l’esperienza comune, la civiltà giuridica, il bene dell’individuo. Per tutta la vita continuerà a perseguire questo ideale che nulla ha di astratto, ma si nutre dell’esperienza, in una parola della vita, pur mantenendo saldi i principi del rispetto delle istituzioni, della tendenza all’ordinato e corretto vivere civile. Molto interessanti sono anche le pagine dedicate all’analisi delle motivazioni che spinsero Capograssi a giurare fedeltà al regime fascista. Lattanzi ci restituisce l’uomo, con i suoi dubbi, le sue incertezze, i suoi errori, ma anche la sua tempra, il suo amore per la vita e per la conoscenza. Non è certo compito di una recensione raccontare un libro, occorre solo, a parere di chi scrive, dare il senso dell’emozione che si è provata. Non conoscevo Capograssi se non di nome e per piccole note. Da questo libro ho imparato ad amarlo.

Giancarlo Giuliani


Vincenzo Lattanzi
GIUSEPPE CAPOGRASSI
I sentieri dell’uomo comune
Profilo critico e biografico

Presentazione di Francesco Mercadante
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-742-0]
Pagg. 112 - € 9,00


giovedì 3 maggio 2012

Salotto Culturale Semprevivo: RECITAL "INCANTI" di Marco Tabellione (Venerdì 4 maggio, ore 18:00)

Salotto Culturale Semprevivo
Corso Marrucino n. 33 - CHIETI

RECITAL "INCANTI"
di Marco Tabellione

con immagini e musica

Venerdì, 4 Maggio, ore 18:00


La caratteristica principale della performance è l’utilizzo di basi musicali, che non coprono l’intero arco del recital. La musica, oltre a creare l’atmosfera e aiutare il pubblico a concentrarsi, diventa parte integrante delle poesie, anche perché molte di esse furono da composte ascoltando musica.


BIO-BIBLIOGRAFIA

Marco Tabellione è nato nel 1965 a Musellaro; si è laureato in Lettere moderne all'Università "G. D'Annunzio" di Chieti, con una tesi sulle avanguardie poetiche degli anni Sessanta, discussa insieme al professore e poeta Alfredo Giuliani. In seguito ha conseguito il diploma di specializzazione al corso di Giornalismo e comunicazioni di massa presso la LUISS di Roma. È sposato e ha due figli. È stato vincitore a Perugia nel 1990 del premio di poesia intitolato a Sandro Penna, nel 1998 ha vinto il premio “Giovani autori” curato dalla Fondazione Caripe di Pescara, mentre nel 1999 è risultato primo al premio “Palazzo Grosso” di Riva presso Chieri (Torino) con il volume di poesie "Incanti". Nel 2003 con la raccolta "Tra cielo e mare" è stato designato tra i vincitori del concorso “Adottiamo uno scrittore” indetto dalla provincia di Pescara, e nel 2004 si è classificato secondo al premio abruzzese Sant’Egidio indetto dalla cooperativa Tracce di Pescara. Per le edizioni Tracce di Pescara ha pubblicato nel 1995 la raccolta di poesie "Gli uni e gli altri bui" e il saggio sul giornalismo televisivo "L’immagine che uccide". Nel 1998 è stata pubblicata la sua terza raccolta di poesie "InCanti", sempre per le edizioni Tracce, mentre nel 2000 le edizioni Samizdat di Pescara hanno curato l’edizione della quarta raccolta di versi, "L’alba e l’ala". Nel 2001 è uscito il suo primo romanzo "Il riso dell’angelo" per le edizioni Tracce, mentre risale all’anno 2002 il saggio di letteratura "La cura dell’attimo" edito da Samizdat di Pescara. Nel 2003 è uscita l’ultima raccolta di poesie intitolata "Tra cielo e mare" e pubblicata anch’essa da Tracce. Nel 2009 pubblica il suo secondo romanzo "L’isola delle crisalidi" per le edizioni Runde Taarn di Modena.

mercoledì 2 maggio 2012

Recensione: STORIE DI LETTERE di Sabatino Ciocca


Nel libro di Sabatino Ciocca ben ravvisa Sciarra una ricostruzione dell’epoca, dello stile, del costume, della fraseologia, che conduce a “sviluppi verosimili”, “un’aderenza alla vitalità sana e concreta della cultura popolare che non ha perso i contatti con l’autenticità della vita”. Così come Farias accenna all’ironia come “un’assunzione umile della vita con le sue debolezze”. Più che “bozzetti” queste belle Storie di Lettere sono siparietti del passato scandenti quel grande spettacolo di teatro che è il tempo. Episodi delle vite di illustri abruzzesi (Mazarino, Spaventa, Chiarini, De Meis, la Milli) e no (Manzoni, Freud e Groddeck) vengono rivisitati secondo un principio di verosimiglianza arricchente il referto biografico. Non paradossalmente, visto che nello shakespeariano buio fondale dove scruta l’autore quelle figure un tempo vive, quelle anime, continuano a fluttuare, lacanianamente, grazie alla logica propria dei sogni – il linguaggio.
La ricca esperienza della scena teatrale – dove la parola è viva, è in atto più che nella vita – ha donato a Ciocca una competenza stilistica di tutto rispetto, che del letterario ha gli innumerevoli vantaggi tranne l’auto-referenzialità. Al contrario questa fine meditazione sullo scambio epistolare accentua il valore urgente di una prosa contemporanea come autentico specchio, come “riflessione” sopravanzante la cronaca. Laddove lo scrittore commerciale italiano di turno fallisce nella pretesa di far fronte all’oggetto, scimmiottando la televisione – la retorica, la scrittura di taglio, obliqua, di Ciocca – intellettuale libero – mette a fuoco quel mistero del reale a cui tanti bravi critici letterari odierni evitano di pensare – anche perché non sanno pensare.
Nella fantasia del passato la stessa ironia aleggia in un’accezione non consueta – non è denigrante – è mera irruzione della parola. Dalle cipolle fresche offerte da Greuze alle modelle per realizzare quadri lacrimosi – al fatale inciampo della Milli nel salotto di casa Maffei – al piccione viaggiatore preposto a una triste incombenza a causa della seconda moglie di Manzoni – la verosimiglianza degli spettri di Ciocca dà corpo a uno scalpore scenico che è una vera benedizione per il povero lettore, davvero “consumato” dalla  mostruosa quantità della ridicola letteratura di consumo di oggi.

Marco Tornar





Sabatino Ciocca
STORIE DI LETTERE
Alla scoperta di carte e carteggi più o meno celebri
Cabaret letterario
Edizioni Solfanelli
Chieti 2011
p. 168 - € 12,00
[978-88-7497-734-5]


martedì 1 maggio 2012

Recensione: OCCHI DI RAGAZZO di Emanuele Aurelio

Libro promettente, questo di Emanuele Aurelio. L’impostazione è implicita nel titolo, Occhi di ragazzo: è lo sguardo attento di un giovane che cerca, e a volte trova, consonanze tra se stesso e il mondo esterno. La prima poesia della raccolta, Si è, è già una dichiarazione di poetica, il tentativo di costruire una propria consapevole forma espressiva.
In Nuvole c’è un uso maturo dell’anastrofe, tecnica frequente nei versi di Aurelio, e non mancano interessanti rimandi linguistici, con molta attenzione al suono e alla musicalità del verso. Si perdona qualche incertezza tecnica e a volte è troppo presente l’eco delle proprie letture, cosa del resto inevitabile in un autore così giovane.
Si farebbe però torto all’autore se non si sottolineasse qualche alternanza di stile, qualche forzatura metrica, un uso ripetuto del “ti” e del “ci” (“ti guarda”, “ti porta”...), del tutto sconsigliabile. Qualche finale è rigidamente prosastico (ma nei nostri cuori / sempre sopra starà), appare pleonastico l’ultimo verso di Non andare ed è decisamente ingenuo quel “grazie di esistere” che conclude Non andare. Tutto ciò non mina in alcun modo la potenzialità del poeta, che anzi più facilmente può attuarsi se si confronta con note e osservazioni che nulla tolgono alla validità di fondo di questo esordio.
Vi sono attacchi molto felici, poesie strutturalmente ben poste, momenti efficaci, come in Avarizia (Retta via / per arida acqua / Fumosa scia / per incolmabile disio /Cacciatrice malia / di persone vuote), La Vita (Assisto / stupefatto / al germogliare di una rosa. / Partecipo / instancabile / alla realizzazione di un’utopia), E se.. (un ottimo incipit: E se la vita fosse solo il sogno di qualcuno …), Il mondo gira (E se l’uomo fosse solo un’azione / se l’uomo fosse davvero un agire … , Alla mia professoressa di lettere (Chi arde / non lascia un terreno umido. / Chi è impegnato non sperpera il tempo. / Chi è fervido / non aspetta la grazia divina. / Chi sa fare / può fare. / Ma chi arde troppo rimarrà per un tempo infinito / attonito e stanco. / Scusi le parole beffarde / ma non sono condannatrici / sono consigliere.), Alla mia prof di Arte. In questi testi la raccolta prende vigore, il linguaggio è maturo, lo stile più personale.

Non ci sembra felice la scelta di inserire delle poesie in inglese, ma è una menda perdonabile nel libro d’esordio di un diciannovenne di talento. Lo aspettiamo con fiducia a una prossima prova.

Giancarlo Giuliani





Emanuele Aurelio
Occhi di ragazzo
Calabria Letteraria Editrice 2009
ISBN 9788875741853

martedì 24 aprile 2012

Recensione: LUOGHI di Vito Moretti (Edizioni Tabula fati)

Nell’accostarci ad una sorta di mostro sacro della nostra letteratura contemporanea, non possiamo nascondere una sorta di timore reverenziale. È un dilemma molto forte quello che ci troviamo a dipanare. Da un lato la voglia di dare voce alla nostra sensibilità, accarezzata e deliziata dalle sapienti parole che Vito Moretti ci regala con la sua nuova opera, Luoghi (Tabula Fati, Chieti 2011), dall’altro la paura di apparire inadeguati e inadatti. Un timore reso ancora più cocente dal confronto con i curatori delle note critiche apparse in testa ed in calce all’opera citata.
È Daniele Maria Pegorari, all’inizio di questo percorso, che ci introduce al mondo letterario dell’autore, quasi fosse, appunto, un percorso, da compiere però in punta di piedi, con un pizzico di velata nostalgia. Ripercorre le tappe fondamentali del suo vivere la letteratura, lo incontra per noi nei luoghi della sua vita, che è sua, ma che in qualche modo ci appartiene. Perché Pegorari, con illuminata sensibilità, ci svela un Moretti cantore della propria storia, ma magicamente proiettato in quella dell’intera comunità, la nostra, quella dell’uomo.
Ancora luoghi, quelli visitati dall’altro relatore in calce al libro, Giacomo D’Angelo. Luoghi della memoria di un secolo, il Novecento, che non è ancora finito, almeno a livello letterario. È D’Angelo, con la cultura che lo contraddistingue e lo eleva a voce tra le più autorevoli della critica abruzzese e nazionale, ad accostare Moretti ai grandi della letteratura mondiale del Novecento. E quando diciamo “grandi”, non intendiamo per forza i più famosi o i più osannati dalla critica, anzi! Il commento a Luoghi di Moretti diventa spunto di riflessione e permette di riappropriarsi di una poesia spesso dimenticata, in alcuni casi addirittura celata. Grazie a Moretti, questi luoghi tornano a far sentire la propria voce a volte dissonata, dissacrata, ma anche arsa da incontenibile passione.
Una voce che è voce dell'anima, voce che riempie gli spazi del cuore e li mena raminghi per le strade del mondo. Perché è proprio il “mondo” il protagonista di questo libro di poesie. Poesie che elevano la nostra anima di viaggiatori e ne diventano strumento di indagine e di conoscenza, come dice il già citato Giacomo D’Angelo.
In un mondo in cui la globalizzazione sta diventando sempre più il protagonista assoluto degli schemi organizzativi, Moretti si pone in antitesi all’omologazione dilagante. Riafferma l’identità perduta dei luoghi della memoria, esalta il valore intrinseco e mai perso delle proprie radici, delle dimore del cuore. Ma in qualche modo elabora ed evolve questo concetto, quando a Odessa afferma che “Un uomo ha terra ovunque…”. Ci apre un abisso questa nuova opera di Moretti, ancor più sublime e preziosa in quanto portatrice di domande esistenziali che accompagnano la magia dei nostri luoghi più intimi. E se è vero ciò che dice il poeta, nella splendida dedica al Sud, che “La verità abita i dubbi e li annuncia…”, allora in verità, possiamo affermare senza timore di errore che ci troviamo di fronte ad un’opera imperdibile.
Parola di lettore professionista.


Arturo Bernava


Vito Moretti
Luoghi
Edizioni Tabula fati
Chieti 2011
p. 120 - € 10,00
[978-88-7475-210-2]

martedì 17 aprile 2012

Recensione: L'ULTIMA FUGA di Daniela Quieti (Edizioni Tracce)

C'è il respiro della vera poesia in questa raccolta di Daniela Quieti. Un incipit felicissimo e un finale che ha l'incisività di un'epigrafe sembrano raccogliere in circolo tutte le composizioni, cinquanta, che non a caso recano un numero progressivo:

A chi importa
il mio passato
sono nata all'alba
e il crepuscolo
già si avvicina.


A questo inizio che, collegato con il titolo della raccolta potrebbe far pensare a una poesia fatta di rimpianti e di malinconie, si oppone con forza, fin dalla prima poesia, il richiamo alla vela gonfiata dal vento e al potente scorrere della linfa nell'albero, a significare vitalità, amore per l'esistenza, pur nella consapevolezza della fugacità del tempo.
Anche nel momento di un apparente naufragio, ecco il richiamo a "una cometa che mi guidi / a un cielo di albe chiare" oppure il riapparire di una parola che diventa salvifica, che assicura, per mezzo della scrittura, la persistenza, in una parola, la vita:

Se l'urto inginocchia
una breve stagione d'amore
rendimi lieve nell'abbraccio
dei tuoi
dei miei silenzi.

Ed è nell'amore, nel senso più ampio del termine, che si cerca e si trova la scintilla che consente il cammino, quella che fa scoprire la bellezza di gesti semplici, che conduce alla ridente complicità di una vita percorsa tenendosi per mano. Non a caso è ancora la parola scritta a celebrarne la persistenza: "... pagine di un libro / che resta vita su una mensola", con felice contrasto tra l'apparente immobilità e inutilità del libro deposto e la vita che in esso continua a pulsare.

Ma il cammino è a volte in salita, scosceso, si cerca una fugace primavera nel pieno di un inverno, si attende un vento che possa condurci ad acque inviolate, si sente il morso del dolore. É allora che il cuore cerca la mano di chi percorre con noi il cammino: "... nulla conta / se tu ci sei".

Al sollievo di un incontro felice offerto dal destino segue un momento di malinconia, non priva però di serenità, nonostante l'immagine del tempo "scartato in soffitta". Subito dopo, però, ancora il calore della passione, la forza dei sentimenti, creano un "tempo non tempo", ponendo l'autrice in una dimensione di pace, sempre tesa verso un sogno che ella non abbandona, anzi insegue con forza. In questo contesto, l'assenza diviene situazione non tollerabile:

ha un respiro smarrito
quest'assenza
che sussurra l'inganno
dell'attesa

É la natura che offre allora sollievo e "un prodigio di stelle" supera la malinconia della poetessa e del suo interlocutore (che altri non è che la poetessa stessa), perché nel pentagramma di Daniela Quieti "solo il cuore è misura".

Quando poi il tempo della passione sembra trascorso, quando si affaccia il rimpianto per mille vite non vissute a seguito di ciascuna delle nostre scelte, le mani sembrano non poter più stringere "promesse d'amore". Eppure le nubi si trasformano, creano armonia, perché uno sguardo rivela che la bellezza e l'amore sono sempre vivi e presenti, anche nel buio più profondo. É così che "l'ultima fuga", la struggente sensazione del correre del tempo, trova la sua risposta, perché c'è sempre un nuovo cammino:

laveremo storie
in cascate di sogni
ma dimmi ancora
parole d'amore
quando si fa buio
contro il cielo viola
della sera.

Giancarlo Giuliani


Daniela Quieti
L'ultima fuga
Edizioni Tracce
ISBN 978-88-7433-730-9
pp. 72 € 11,00

lunedì 16 aprile 2012

Recensione: NELLO SPECCHIO DI MABEL di Marco Tornar


Mabel giunge a noi dalle nebbie che avvolgono troppo spesso figure erroneamente giudicate marginali nella letteratura. Marco Tornar ha il dono di cogliere momenti di assoluta bellezza, vite irripetibili, e ce le offre con generosità. Egli sa come far parlare luoghi e oggetti, come essi si carichino di significati, assumano un ruolo emblematico, tale da contribuire a ricreare il mondo in cui i personaggi si muovono. É tutto naturale nei libri di Tornar: lo scialle di Claire, nel precedente libro dedicato a Claire Clairmont ci è divenuto familiare, ne abbiamo percepito l’importanza per la vita interiore della protagonista. Così è anche per gli oggetti che circondano la vita di Mabel.
Il lettore è subito coinvolto dall’incipit, con la raffinata delicatezza dell’amore che nasce tra due ragazze, Mabel e  Violet Gli oggetti si caricano di significato, dipingono non solo ambienti, ma indirettamente le persone stesse. C’è poi, immediato, uno stacco temporale di nove anni e, come per inciso, il lettore apprende della morte di Violet e il profumo della Créme Simon, che aveva avvolto gli attimi intensi della scoperta dell’amore, chiude, sigilla, un momento perfetto, reso irripetibile dalla morte.
È così anche per le perle che Mabel dà a Bindo, premessa a un momento drammatico, vissuto sepre in modo che può apparire inatteso al lettore, che ha la sensazione di cogliere indifferenza, e magari se ne ha anche a male. Del resto, anche il matrimonio di Mabel è del tutto, per lei, privo di illusioni: è ben consapevole, infatti, della differenza tra lei ed Edwin, uomo concreto, ben lontano dalla profondità psicologica di Mabel.
Poi, i colori. Tornar è straordinario nel cogliere i colori della natura e delle cose. Basta una notazione per aprire al lettore spazi di pensiero. Così, ecco il “blu Della Robbia”, le figure grigie di Watteau, la descrizione dei damaschi di casa. Ma i potrebbe continuare a lungo.
Tema forte del libro è comunque il tema della memoria: un velo di malinconica nostalgia, pur nella consapevolezza dell’inevitabilità del trascorrere del tempo. Anzi, forse proprio per questo. C’è in Mabel un convincimento profondo del valore della memoria, strumento a tratti salvifico. La capacità di uno sguardo consapevole verso il passato è evidente ad esempio nel ritratto di Elizabeth Mc Leod (p. 50), nel ritorno dell’immagine di Violet (p. 59), in fondo anche nel rapporto tra Mabel e Marcelle, in cui è sempre presente l’ombra della stessa Violet.
Rasenta infine l’estetismo il momento in cui Mabel avverte un forte trasporto per Gino, l’autista, ma una forte componente di estetismo è presente anche nelle modalità con le quali Mabel tenta il suicidio, i pezzi di vetro nei fichi e una bottiglia di laudano. Quasi un libro a sè è l’incontro con la Duse, il cui ritratto è reso in modo assai felice, lontano dalla vulgata derivante dal “Fuoco” dannunziano.
“Dio protegga le donne dai poeti!”, dice a un certo punto l’autore: ma senza l’animo di un poeta come Marco Tornar non ameremmo Claire e Mabel, non avremmo “riconosciuto” la loro vita.

Giancarlo Giuliani


Marco Tornar
Nello specchio di Mabel
Tracce, Pescara 2012
Pag. 168 - Euro 11,00

giovedì 15 marzo 2012

VII PREMIO RACCONTO BREVE 2012 (Scadenza 12/05/2012)

“Borghi d’autore. La tua storia ambientata nella provincia italiana”

1. L’Associazione Pro Loco di Garrufo di Sant’Omero (Te) indice la VII edizione del premio Racconto breve 2012 “Giammario Sgattoni”, sul tema “Borghi d’autore. La tua storia ambientata nella provincia italiana”.
2. La partecipazione è gratuita.
3. I testi non devono superare la lunghezza di n. 16.000 battute (spazi inclusi).
4. Gli elaborati devono essere scritti in lingua italiana.
5. Gli elaborati devono essere inediti.
6. Il materiale dovrà essere inviato entro il 12 maggio 2012, sia su supporto cartaceo, sia su supporto informatico (file.doc), tramite servizio postale a: “Premio racconto breve” c/o Pro Loco di Garrufo, Via Nazionale, 93, - 64027 GARRUFO di SANT’OMERO (Te).
Le buste, contenenti le opere, con timbro postale successivo alla data suindicata, non verranno tenute in considerazione.
7. Il Premio è articolato in un’unica sezione: possono partecipare tutti quelli che abbiano compiuto i quattordici anni di età alla data del 12 maggio 2012.
8. I dattiloscritti devono essere presentati in n. 5 copie non firmate, in busta chiusa senza mittente, in forma anonima.
9. Il nominativo, l’età degli autori, i recapiti (indirizzo, telefono, e-mail) e il CD con il file.doc, vanno inclusi in una seconda busta sigillata e inserita nel plico sempre in forma anonima.
10. Non si accettano elaborati spediti per posta elettronica.
11. Per informazioni: tel. (ore pomeridiane): 328.8967619; 320.0697431. Oppure scrivere all’indirizzo e-mail di Enrico Di Carlo: enricodica@libero.it.
12. Non verranno presi in considerazione racconti che eccedono la lunghezza stabilita e che, per gli argomenti trattati, contrari alla morale pubblica, a insindacabile giudizio della Giuria possano esporre l’organizzazione o i singoli soggetti a contenziosi di tipo legale o possano risultare lesivi della loro immagine.
13. I lavori partecipanti al Premio non saranno restituiti in quanto costituiranno parte integrante dell’archivio del Premio medesimo.
14. La Giuria, nominata dalla Pro Loco, esaminerà i lavori concorrenti e, in base ai criteri e motivi stabiliti per l’assegnazione dei premi, redigerà una relazione conclusiva che conterrà la graduatoria dei vincitori.
15. I premi consistono in:
Primo classificato:
• Un pernottamento in camera matrimoniale con colazione e cena per due persone, con degustazione di vini delle colline teramane, presso l’Hotel Ristorante “Zunica 1880”, a Civitella del Tronto (Te), uno dei borghi più belli d’Italia. Il premio è valido per tutto il 2012, previa richiesta di disponibilità;
• Prodotti tipici della cultura e della tradizione abruzzesi.
Secondo classificato:
• Un pernottamento in camera matrimoniale con colazione, per due persone, presso il B&B “Sul Frantoio” di Aladino e Felice Stante, a Fossacesia (Ch), località della “Costa dei trabocchi”. All’interno dell’antico Frantoio verrà offerta una degustazione di prodotti tipici abruzzesi. La cena, sempre per due persone, è offerta dal Ristorante-Trabocco Punta Tufano, a Rocca San Giovanni (Ch). Il premio è valido per il periodo maggio-ottobre, previa richiesta di disponibilità.
• Prodotti tipici della cultura e della tradizione abruzzesi.

Terzo classificato:
• Un pernottamento in camera matrimoniale con colazione e cena per due persone, presso il ristorante “Taverna de li Caldora” a Pacentro (Aq), antico borgo che si trova alle pendici del Monte Morrone, la cui architettura medioevale si è perfettamente conservata. Pacentro è compreso tra i borghi più belli d’Italia. Il premio è valido per tutto il 2012, previa richiesta di disponibilità.
• Prodotti tipici della cultura e della tradizione abruzzesi.
16. La Giuria si riserva di assegnare premi ex-aequo.
17. Una Giuria-giovani (14-25 anni), nominata dalla Pro Loco, si riserva di assegnare un premio speciale consistente in prodotti tipici della cultura e della tradizione abruzzesi.
18. PREMIO SPECIALE: L’editore de Siena di Pescara, media partner della manifestazione, pubblicherà in un volume, previa liberatoria gratuita degli autori, i migliori racconti classificati. La raccolta sarà pubblicata con tiratura limitata.
19. Ai primi tre classificati verrà rilasciato l’attestato di partecipazione.
20. La partecipazione al Premio implica l’automatica accettazione da parte dei concorrenti di tutte le norme del bando e l’accettazione del D.Lgs. n. 196/2003 sulla privacy.
21. Il giudizio delle Giurie è inappellabile e insindacabile.
22. L’organizzazione non fornirà ai partecipanti alcun tipo di spiegazione in merito a eventuale esclusione dal concorso e ai criteri di valutazione.
23. La premiazione avrà luogo nel corso della IV Rassegna umoristica “Sorridi con gusto”, inserita nell’ambito della manifestazione enogastronomica “Garrufo con Gusto” che si svolgerà, dal 2 all’8 agosto 2012, in Garrufo di Sant’Omero (Te).
24. I premi saranno consegnati ai vincitori il giorno della cerimonia di premiazione.
25. La data verrà comunicata per tempo.

giovedì 1 marzo 2012

ABRUZZO letterario n. 1 (gennaio-marzo 2012)



Sommario del n. 1

POESIA VISIVA E VIDEO-POESIA, di Marco Tabellione

L'ANGELO DI BROWNING, di Marco Tornar

L'ANGELO CUSTODE: Un quadro a Fano, di Bobert Browning

AGNIZIONE E DESTINO. Praga in una testimonianza di Antonia Pozzi, di Alessio Di Giulio

Intervista a: DONATELLA DI PIETRANTONIO, a cura di Arturo Bernava

VIAGGIO IN PUNTA DI PIEDI. “Luoghi”: la nuova silloge poetica di Vito Moretti, di Giancarlo Giuliani

BRUCIATE I LIBRI DI D'ANNUNZIO!, di Giacomo D'Angelo

POESIE di Luciano De Angelis, Nicoletta Di Gregorio, Ubaldo Giacomucci, Giancarlo Giuliani, Vito Moretti, Benito Sablone e Anna Ventura

TACCUINO DI UN VIAGGIO DA TRIESTE A CHIETI (Aprile-Giugno 1945), racconto di Donatello D'Orazio

L'ERGASTOLANO, racconto di Arturo Bernava

IL BUIO, racconto di Marco Tabellione

SANTO STEFANO AD RIVUM MARIS, di Nicoletta Travaglini

Recensioni: M. Di Nardo, MANI NUDE SUL CUORE; A. Del Vecchio, IOTU; A. Bernava, ELEVATEMENTI; R. Morghen, GABRIELE D'ANNUNZIO NELLE LETTERE A GIANCARLO MARONI (1934).

Arti grafiche: PELLEGRINO CAPOBIANCO

Arte della fotografia: ROMOLO DI MICHELE

Illustrazione dei racconti di Pellegrino Capobianco
Copertine di Vito Giovannelli

martedì 12 luglio 2011

Recensione: IL COLORE DEL CAFFÈ di Arturo Bernava (Edizioni Solfanelli)


“... se sappiamo leggere, viviamo e passeggiamo in questo mondo come se fosse reale e  il messaggio del libro arriva al nostro cuore come se facesse parte di noi.”
E’ con questa frase del romanzo che inizia la nostra passeggiata ne Il colore del caffè di Arturo Bernava, appena uscito per le edizione Solfanelli. Il libro è innanzi tutto un romanzo: si serve di una ambientazione storica ben precisa ed efficacemente ricostruita. Siamo in Italia, nel periodo fascista, il caffè è stato bandito dalla storia ed è stato sostituito dal “ surrogato d’orzo o dal carcadè somalo.”; ma continua a sopravvivere nelle abitudini di un piccolo paese dove un giorno arriva un bravo ed onesto maresciallo. Il lettore viene piano piano inserito in questo mondo minuscolo, nel quale incontra i primi personaggi. Il caffè diventa quindi filo rosso ed elemento conduttore di un giallo: e l’intreccio sostiene numerosi caffè, perché ogni personaggio attribuisce al caffè un colore ed un significato diverso.
C’è un maresciallo Dante Modiano, Lorena una bella locandiera, un cieco, un bambino..c’è una macrostoria ben intrecciata alla microstoria del piccolo paese; ci sono inoltre proverbi ed espressioni dialettali e una ironia sottile che , come un sacchetto di spezie, aggiungono profumo al libro. Ci sono  i paesaggi descritti con sapienza, una delicatissima storia d’amore, ma c’è anche il rimando continuo ad altri autori, ad altri libri. E c’è uno sguardo cinematografico a guidare il lettore all’incontro con personaggi, per farlo avanzar nel racconto e sorprenderlo con alcuni colpi di scena.
“Ci sono dei caffè che fanno bene all’anima, o al corpo,  e altri che on fanno bene né all’uno né all’altro.” Il maresciallo si innamora e non solo del caffè; e ogni caffè ha allora un colore diverso: quello dell’amore, rosso; quello della quotidianità, nero;  rosso “ è il caffè che ha  il colore dei tuoi passi”confessa al maresciallo, la bella Lorena.
E ribadisce lo stesso concetto persino Alfredo che è cieco e vive da solo insieme a tantissimi libri: “ quando bevo il caffè sento sempre la luce che ci si è sciolta dentro, sento il giallo del sole che ha illuminato la pianta, l’argento dell’Acqua”.
Che c’è di più ovvio, di più semplice, di più amichevole e  confidenziale che offrire a qualcuno un caffè? Si stabilisce una relazione emotiva, un rapporto; ci si apre alla confidenza.
Venite a prendere un caffè con Arturo Bernava.  Leggendo questo libro, scoprirete i profumi e gli odori, la neve e le stelle, l’amore e l’inganno, la solitudine e la dolcezza. E’ un libro che si beve tutto d’un fiato, proprio come una tazzina di caffè: ma il suo sapore resta a lungo, nella memoria.

Patrizia Tocci



Arturo Bernava
IL COLORE DEL CAFFÈ
Copertina di Vincenzo Bosica
Edizioni Solfanelli

[ISBN-978-88-89756-77-5]
Pagg. 192 - € 12,00