martedì 24 aprile 2012

Recensione: LUOGHI di Vito Moretti (Edizioni Tabula fati)

Nell’accostarci ad una sorta di mostro sacro della nostra letteratura contemporanea, non possiamo nascondere una sorta di timore reverenziale. È un dilemma molto forte quello che ci troviamo a dipanare. Da un lato la voglia di dare voce alla nostra sensibilità, accarezzata e deliziata dalle sapienti parole che Vito Moretti ci regala con la sua nuova opera, Luoghi (Tabula Fati, Chieti 2011), dall’altro la paura di apparire inadeguati e inadatti. Un timore reso ancora più cocente dal confronto con i curatori delle note critiche apparse in testa ed in calce all’opera citata.
È Daniele Maria Pegorari, all’inizio di questo percorso, che ci introduce al mondo letterario dell’autore, quasi fosse, appunto, un percorso, da compiere però in punta di piedi, con un pizzico di velata nostalgia. Ripercorre le tappe fondamentali del suo vivere la letteratura, lo incontra per noi nei luoghi della sua vita, che è sua, ma che in qualche modo ci appartiene. Perché Pegorari, con illuminata sensibilità, ci svela un Moretti cantore della propria storia, ma magicamente proiettato in quella dell’intera comunità, la nostra, quella dell’uomo.
Ancora luoghi, quelli visitati dall’altro relatore in calce al libro, Giacomo D’Angelo. Luoghi della memoria di un secolo, il Novecento, che non è ancora finito, almeno a livello letterario. È D’Angelo, con la cultura che lo contraddistingue e lo eleva a voce tra le più autorevoli della critica abruzzese e nazionale, ad accostare Moretti ai grandi della letteratura mondiale del Novecento. E quando diciamo “grandi”, non intendiamo per forza i più famosi o i più osannati dalla critica, anzi! Il commento a Luoghi di Moretti diventa spunto di riflessione e permette di riappropriarsi di una poesia spesso dimenticata, in alcuni casi addirittura celata. Grazie a Moretti, questi luoghi tornano a far sentire la propria voce a volte dissonata, dissacrata, ma anche arsa da incontenibile passione.
Una voce che è voce dell'anima, voce che riempie gli spazi del cuore e li mena raminghi per le strade del mondo. Perché è proprio il “mondo” il protagonista di questo libro di poesie. Poesie che elevano la nostra anima di viaggiatori e ne diventano strumento di indagine e di conoscenza, come dice il già citato Giacomo D’Angelo.
In un mondo in cui la globalizzazione sta diventando sempre più il protagonista assoluto degli schemi organizzativi, Moretti si pone in antitesi all’omologazione dilagante. Riafferma l’identità perduta dei luoghi della memoria, esalta il valore intrinseco e mai perso delle proprie radici, delle dimore del cuore. Ma in qualche modo elabora ed evolve questo concetto, quando a Odessa afferma che “Un uomo ha terra ovunque…”. Ci apre un abisso questa nuova opera di Moretti, ancor più sublime e preziosa in quanto portatrice di domande esistenziali che accompagnano la magia dei nostri luoghi più intimi. E se è vero ciò che dice il poeta, nella splendida dedica al Sud, che “La verità abita i dubbi e li annuncia…”, allora in verità, possiamo affermare senza timore di errore che ci troviamo di fronte ad un’opera imperdibile.
Parola di lettore professionista.


Arturo Bernava


Vito Moretti
Luoghi
Edizioni Tabula fati
Chieti 2011
p. 120 - € 10,00
[978-88-7475-210-2]

martedì 17 aprile 2012

Recensione: L'ULTIMA FUGA di Daniela Quieti (Edizioni Tracce)

C'è il respiro della vera poesia in questa raccolta di Daniela Quieti. Un incipit felicissimo e un finale che ha l'incisività di un'epigrafe sembrano raccogliere in circolo tutte le composizioni, cinquanta, che non a caso recano un numero progressivo:

A chi importa
il mio passato
sono nata all'alba
e il crepuscolo
già si avvicina.


A questo inizio che, collegato con il titolo della raccolta potrebbe far pensare a una poesia fatta di rimpianti e di malinconie, si oppone con forza, fin dalla prima poesia, il richiamo alla vela gonfiata dal vento e al potente scorrere della linfa nell'albero, a significare vitalità, amore per l'esistenza, pur nella consapevolezza della fugacità del tempo.
Anche nel momento di un apparente naufragio, ecco il richiamo a "una cometa che mi guidi / a un cielo di albe chiare" oppure il riapparire di una parola che diventa salvifica, che assicura, per mezzo della scrittura, la persistenza, in una parola, la vita:

Se l'urto inginocchia
una breve stagione d'amore
rendimi lieve nell'abbraccio
dei tuoi
dei miei silenzi.

Ed è nell'amore, nel senso più ampio del termine, che si cerca e si trova la scintilla che consente il cammino, quella che fa scoprire la bellezza di gesti semplici, che conduce alla ridente complicità di una vita percorsa tenendosi per mano. Non a caso è ancora la parola scritta a celebrarne la persistenza: "... pagine di un libro / che resta vita su una mensola", con felice contrasto tra l'apparente immobilità e inutilità del libro deposto e la vita che in esso continua a pulsare.

Ma il cammino è a volte in salita, scosceso, si cerca una fugace primavera nel pieno di un inverno, si attende un vento che possa condurci ad acque inviolate, si sente il morso del dolore. É allora che il cuore cerca la mano di chi percorre con noi il cammino: "... nulla conta / se tu ci sei".

Al sollievo di un incontro felice offerto dal destino segue un momento di malinconia, non priva però di serenità, nonostante l'immagine del tempo "scartato in soffitta". Subito dopo, però, ancora il calore della passione, la forza dei sentimenti, creano un "tempo non tempo", ponendo l'autrice in una dimensione di pace, sempre tesa verso un sogno che ella non abbandona, anzi insegue con forza. In questo contesto, l'assenza diviene situazione non tollerabile:

ha un respiro smarrito
quest'assenza
che sussurra l'inganno
dell'attesa

É la natura che offre allora sollievo e "un prodigio di stelle" supera la malinconia della poetessa e del suo interlocutore (che altri non è che la poetessa stessa), perché nel pentagramma di Daniela Quieti "solo il cuore è misura".

Quando poi il tempo della passione sembra trascorso, quando si affaccia il rimpianto per mille vite non vissute a seguito di ciascuna delle nostre scelte, le mani sembrano non poter più stringere "promesse d'amore". Eppure le nubi si trasformano, creano armonia, perché uno sguardo rivela che la bellezza e l'amore sono sempre vivi e presenti, anche nel buio più profondo. É così che "l'ultima fuga", la struggente sensazione del correre del tempo, trova la sua risposta, perché c'è sempre un nuovo cammino:

laveremo storie
in cascate di sogni
ma dimmi ancora
parole d'amore
quando si fa buio
contro il cielo viola
della sera.

Giancarlo Giuliani


Daniela Quieti
L'ultima fuga
Edizioni Tracce
ISBN 978-88-7433-730-9
pp. 72 € 11,00

lunedì 16 aprile 2012

Recensione: NELLO SPECCHIO DI MABEL di Marco Tornar


Mabel giunge a noi dalle nebbie che avvolgono troppo spesso figure erroneamente giudicate marginali nella letteratura. Marco Tornar ha il dono di cogliere momenti di assoluta bellezza, vite irripetibili, e ce le offre con generosità. Egli sa come far parlare luoghi e oggetti, come essi si carichino di significati, assumano un ruolo emblematico, tale da contribuire a ricreare il mondo in cui i personaggi si muovono. É tutto naturale nei libri di Tornar: lo scialle di Claire, nel precedente libro dedicato a Claire Clairmont ci è divenuto familiare, ne abbiamo percepito l’importanza per la vita interiore della protagonista. Così è anche per gli oggetti che circondano la vita di Mabel.
Il lettore è subito coinvolto dall’incipit, con la raffinata delicatezza dell’amore che nasce tra due ragazze, Mabel e  Violet Gli oggetti si caricano di significato, dipingono non solo ambienti, ma indirettamente le persone stesse. C’è poi, immediato, uno stacco temporale di nove anni e, come per inciso, il lettore apprende della morte di Violet e il profumo della Créme Simon, che aveva avvolto gli attimi intensi della scoperta dell’amore, chiude, sigilla, un momento perfetto, reso irripetibile dalla morte.
È così anche per le perle che Mabel dà a Bindo, premessa a un momento drammatico, vissuto sepre in modo che può apparire inatteso al lettore, che ha la sensazione di cogliere indifferenza, e magari se ne ha anche a male. Del resto, anche il matrimonio di Mabel è del tutto, per lei, privo di illusioni: è ben consapevole, infatti, della differenza tra lei ed Edwin, uomo concreto, ben lontano dalla profondità psicologica di Mabel.
Poi, i colori. Tornar è straordinario nel cogliere i colori della natura e delle cose. Basta una notazione per aprire al lettore spazi di pensiero. Così, ecco il “blu Della Robbia”, le figure grigie di Watteau, la descrizione dei damaschi di casa. Ma i potrebbe continuare a lungo.
Tema forte del libro è comunque il tema della memoria: un velo di malinconica nostalgia, pur nella consapevolezza dell’inevitabilità del trascorrere del tempo. Anzi, forse proprio per questo. C’è in Mabel un convincimento profondo del valore della memoria, strumento a tratti salvifico. La capacità di uno sguardo consapevole verso il passato è evidente ad esempio nel ritratto di Elizabeth Mc Leod (p. 50), nel ritorno dell’immagine di Violet (p. 59), in fondo anche nel rapporto tra Mabel e Marcelle, in cui è sempre presente l’ombra della stessa Violet.
Rasenta infine l’estetismo il momento in cui Mabel avverte un forte trasporto per Gino, l’autista, ma una forte componente di estetismo è presente anche nelle modalità con le quali Mabel tenta il suicidio, i pezzi di vetro nei fichi e una bottiglia di laudano. Quasi un libro a sè è l’incontro con la Duse, il cui ritratto è reso in modo assai felice, lontano dalla vulgata derivante dal “Fuoco” dannunziano.
“Dio protegga le donne dai poeti!”, dice a un certo punto l’autore: ma senza l’animo di un poeta come Marco Tornar non ameremmo Claire e Mabel, non avremmo “riconosciuto” la loro vita.

Giancarlo Giuliani


Marco Tornar
Nello specchio di Mabel
Tracce, Pescara 2012
Pag. 168 - Euro 11,00