La conferma dell’esistenza del Bosone di Higgs (o, per essere più scientificamente esatti: l’osservazione di una particella con caratteristiche compatibili con il B. di H.), annunciata ufficialmente dal CERN di Ginevra il 4 luglio scorso, ha giustamente monopolizzato le prime pagine dei giornali, seppure per brevissimo tempo. Devo dire che fa piacere vedere una straordinaria e capitale scoperta scientifica sostituire una volta tanto le povere beghe politiche strapaesane nell’attenzione imposta dai mezzi d’informazione al pubblico (anche se sospetto che i giornalisti abbiano colto al volo soprattutto il lato “folkloristico” della notizia, incluso lo scienziato in lacrime ecc.).
Io non sono affatto un addetto ai lavori, ma detto in soldoni l’importanza della conferma dell’esistenza di questa particella — che era stata ipotizzata fin dal 1964 — è legata al suo ruolo di “aggregatore” della materia. Nella teoria del Big Bang c’era ancora “l’anello mancante” che portasse dal manifestarsi dello spazio-tempo dopo l’esplosione originaria al primo istaurarsi della materia: il Bosone di Higgs sarebbe proprio la particella che, conferendo la massa alle particelle, darebbe di conseguenza origine alla forza di gravità, creando le premesse per l’aggregazione della materia. Di qui il soprannome di “Particella di Dio”.
Premetto a quanto segue: io personalmente, seguendo una tradizione filosofica che risale ai Veda e passa per Parmenide, credo in un Universo eterno, increato, immortale e onnicomprensivo, dove quindi non “c’è bisogno” della figura di un Dio creatore, e d’altro canto il Big Bang — che sarebbe la matrice della nostra stessa possibilità di concepirlo, l’Universo — si sarebbe manifestato in ogni caso all’interno di un “qualcosa” preesistente (dal Nulla non può originarsi nulla).
Quello che forse non tutti sanno è che il soprannome “Particella di Dio” dato al Bosone di Higgs deriva dal titolo di un libro di fisica divulgativo: The God Particle: If the universe is the answer, what is the question?, pubblicato nel 1993 dallo scienziato Leon Lederman (la traduzione italiana è stata pubblicata da Mondadori nel 1996). Questi però aveva originalmente soprannominato il B. di H. “Goddamn particle”, che in italiano si dovrebbe rendere con un’espressione a metà tra “particella maledetta” e (perdonatemi) “particella del c...”, a causa della sua inafferrabilità e resistenza all’identificazione da parte dei fisici. L’editore del saggio censurò l’espressione, e la abbreviò in “God particle”, data anche la valenza metaforica che poteva derivare da tale soprannome (che poi bisognerebbe tradurre correttamente “Particella-Dio” e non “di Dio”).
Higgs ha sempre rifiutato questa definizione, perché — da ateo — la trovava offensiva nei confronti dei credenti, dato che oltretutto l’esistenza di questa particella avrebbe potuto finire di smantellare — almeno da un punto di vista “razionale” — molti pilastri su cui si basano diverse religioni riguardo all’idea di una Creazione.
E che non si dica che gli atei sono sempre degli oltranzisti...
REPLICHE
Marco Tornar: Che la particella sia di per sé nozione atea non mi pare una novità — la novità semmai è la Particola — un c... non ci vuole a sistemare l’universo SENZA il Corpo Purissimo di Nostro Signore Gesù Cristo — il problema è il contrario —
Giancarlo Giuliani: Non vi è contraddizione tra scienza e “Dio”, a meno che non si consideri un Dio con “caratteri personali”, cosa che solo la nostra suprema presunzione di uomini poteva produrre. Credo in un universo come corpo unico, e me ne sento cellula, ma il passaggio a indicare un Dio-persona come autore dello stesso non ha alcuna giustificazione filosofica, è un atto del cuore, della speranza, o, se volete, della paura. La scienza non c’entra. Abbiamo fatto un passo avanti nella conoscenza. Questo è tutto.
Marco Tornar: La conoscenza è tracotanza — c’era scritto pure a Delfi — Ma per essere attuali “Tutto questo ritornare dimostra solo quel che dico io, che non esiste progresso — e si gira in un cerchio” (Lacan).
Arturo Bernava: Quando una particella mi invaderà il cervello, il cuore e l’anima (ovunque essa sia, quella cosa nera e putrida!) allora la chiamerò particella di Dio. / Quando una particella la chiamerò e sentirò una pressione sul capo e la certezza che non sono solo, allora la chiamerò particella di Dio. / Quando una particella mi darà una speranza, quando tutto intorno a me sembra averla persa, allora la chiamerò particella di Dio.
Sono molto soddisfatto che la ricerca scientifica si evolva e dia risposte sino ad ora soltanto ipotizzate. Ma ritengo profondamente ingiusto nominare il nome di Dio invano, soltanto per questioni di “marketing”. Come dice Sandro Naglia nel suo articolo, la traduzione letterale non è “particella di Dio” e allora perché chiamarLo in ballo senza motivo? Forse per avere più risalto sui giornali di tutto il mondo? Non voglio sminuire la portata della scoperta (che lo ripeto - sebbene io sia un profano della materia - mi rende in qualche modo orgoglioso), ma sono convinto che se l’avessero chiamata “particella del cavolo” non avrebbe avuto tutta questa risonanza.
Ecco... partire da una “scorrettezza” lessicale, in nome di una maggiore risonanza mediatica, probabilmente nulla toglie al valore della scoperta, ma dal mio punto di vista ne opacizza l’importanza. Un po’ come sei io scrivessi un libro e invece di firmalo Arturo Bernava lo firmassi Gesù Cristo, perché non sono molto convinto del contenuto del libro e allora punto tutto sul nome in copertina.
Lo ammetto: ho estremizzato un po’ il concetto (giusto un po’), però pure loro...
Marco Tabellione: La scienza non potrà mai avere l’ultima parola, per quanti sforzi faccia, per quanti passi evolutivi compia (sempre che si possano continuare a chiamare evoluzione certe aberrazioni dell’espansione tecnologica), rimarrà sempre un passo in più che essa non sarà in grado di colmare. E’ come per i numeri, sono infiniti perché ne puoi sempre aggiungere uno. Purtroppo, o meno male a seconda dei punti di vista, si potrà sempre aggiungere Dio alla fine dell’ultima scoperta. Chi l’ha fatta questa particella di Dio? Dio? E chi è Dio? Dov’è? Questo la scienza non potrà mai dirlo, e forse neanche vuole. Ciò significa che la religione avrà sempre il suo spazio, sempre la sua importanza. Senza tenere conto del fatto che la religione può toccare dimensioni spirituali che la scienza ignora e vuole ignorare. Certo, non è solo alla religione che dobbiamo attribuire il compito di indagare la dimensione spirituale, ma è indubbio, per quanto mi riguarda, che al di là di quella particella, al di là dell’ultimo numero, si apre lo spazio spirituale e misterioso, e lì non è la ragione che domina. Il resto sono solo beghe su nomi.
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