La letteratura di viaggio ha già di per sé un fascino ineludibile: ma qui siamo proprio dietro le quinte del viaggio. E’ un libro quindi prezioso anche perché contiene una postfazione della sorella di Manganelli, Lietta di cui riporto un piccolo brano: «Ci piace immaginare, la sera, in albergo, Manganelli e Coscetta che, ognuno nella propria stanza, cercano di mettere insieme le immagini e i ricordi della giornata appena trascorsa, uno per trasformare quelle immagini e quei ricordi in fulminanti scritti, l’altro per fissarli nel cuore e nella memoria.» Lietta Manganelli ha dischiuso, con poche parole, il cuore del libro. Quello che leggerete è il diario di un diario, un viaggio accanto ad un altro viaggio. Attraverso i capitoli del libro possiamo ricostruire tutto l’itinerario: Pescina e la valle del Giovenco, Pescasseroli ed il parco, Cocullo Scanno Pacentro e Sulmona, Pescara, Teramo, Atri e Castelli, Chieti e Lanciano, L’Aquila, gli eremi, Corfinio, il Gran Sasso. Un libro nato da una amicizia “durata poco più di tre anni”, e interrotta dalla morte di Manganelli nel 1990.
Ogni pagina ci svela un particolare in più, un dettaglio dell’amicizia tra i due: la ragione di una dedica, un’affermazione, un pensiero comune, una riflessione. Scrive ancora Coscetta: «questo volume ( frutto di pochi appunti e di tanti ricordi), in ogni capitolo ripropone, inseriti nel testo, brevi illuminanti stralci tratti dal dattiloscritto originale che Giorgio Manganelli mi regalò, prima di consegnare al direttore i nove capitoli sul viaggio inchiesta…» Quei nove capitoli sono attualmente contenuti nel libro postumo di Manganelli, La favola pitagorica, edito da Adelphi.
Il primo incontro con l’Abruzzo è quello con Silone, scrittore tra scrittori; l’ultimo è con il Gran sasso, il re della montagna abruzzese , “l’aria d’Abruzzo”. Puntuale itinerario attraverso cui si snoda l’Abruzzo montano e marino, le strade secondarie e le autostrade, le caratteristiche architettoniche o l’acquisto di un oggetto: momenti sorretti da un racconto mai oleografico, che non cede ai luoghi comuni.
Vorrei però soffermarmi in particolare su un capitolo del libro che contiene una promessa : «Da domani conoscerai l’Abruzzo più abruzzese che c’è – dico a Giorgio che seduto davanti alla mia scrivania, insolitamente prende appunti – L’Aquila è una città davvero particolare e per capirla dovremo passare attraverso i suoi cortili.» Oltre ai cortili passano , nelle pagine del libro,il forte spagnolo o Castello, la Fontana luminosa, l’Hotel castello, Piazza Battaglione degli Alpini, la Società aquilana dei concerti, la Fontana delle 99 cannelle, i Quattro cantoni, il bar Centrale e Piazza Palazzo, la cena succulenta al ristorante Ernesto, il Duomo di san Bernardino e la basilica di Collemaggio, il ristorante le Tre Marie, Buccio di Ranallo… Lapidarie, struggenti, delicatissime le impressioni della visita alla città: «mole astratta, levigata, di dura geometria, forte di enormi sproni, il Castello»; «L’Aquila città sommamente musicante»; «a respirare quest’aria montana, a camminare per queste strade dal selciato difficile e da duro pendìo»; «oso dire che riporta ai miei occhi il ricordo di talune fontane dell’oriente islamico, sia di Granada che di Lahore. L’acqua che disegna, che costruisce. Molto orientale.»
Questa topografia, è oggi , per noi, topografia della memoria. Nomi e luoghi oggi pieni di silenzio. L’Aquila è purtroppo una città sospesa, in attesa di tornare ad essere quello che era: e che Manganelli vide, grazie anche alla sapiente guida di Coscetta, in tutti i suoi particolari, anche quelli meno turistici. Scrive ancora Coscetta: «Voltate le spalle alla città che lo ha incantato, con Giorgio, ci avviammo verso un altro Abruzzo. Ma oggi, a 26 anni di distanza, e a tre anni dal terribile terremoto, non riesco a dimenticare l’amorevole attenzione che le dedicò in quei giorni e che riversò, poi, nella puntata dedicata alla città.» Lo stesso Coscetta rivolge un appello agli aquilani di oggi, perché senza quel centro storico «la città sarebbe destinata fatalmente a morire o nel peggiore dei casi a sopravvivere, mutilata svilita e svuotata.»
L’Aquila, la “città polifonica”, così la definì Manganelli per le infinite stratificazioni che si susseguono e si sono composte nel tempo, da quelle romaniche fino a quelle delle città contemporanea, aspetta ancora, nel suo centro storico, di essere ricostruita. Con cura, con attenzione e con sapienza.
«La città antica – scrive Manganelli, – nodo impossibile a sciogliersi di vicoli e strade, è fedele ad una immagine di sé, ferrugginosa, memore di assedi e guerre.»
In questo ultimo assedio, la città ha rischiato di scomparire.
Ma come scrive Paolo Rumiz, un altro inesausto, meraviglioso scrittore-viaggiatore, «finché esistono i nomi esistono i luoghi.» Ed è con questa certezza che continuiamo a sentire attuale il viaggio in Abruzzo di Manganelli del 1987, interessante e prezioso il racconto che ce ne ha fatto Pino Coscetta, in una specie di staffetta emotiva ed amicale che ci coinvolge profondamente.
Patrizia Tocci
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