lunedì 23 luglio 2012

Fotografie (ricordo di Umberto Timmonieri) di Arturo Bernava


Il tempo è fatto di fotografie. 
Le rivedo in ordine, alcune in bianco e nero, altre a colori, a scandire i ritmi della conoscenza, dell’amicizia.
Come nasce una storia, Umberto? Quali strani e arcani meccanismi si innescano nella mente dell’autore, per trasformare la nebulosa alea di un pensiero in uno scritto da consegnare agli affamati lettori?
Tante sono ancora le domande che vorrei farti, a tante altre vorrei rispondere. Ma tu non ci sei, sei andato avanti, e io cerco di fermarti in una fotografia, per tradire la tua assenza, per annullare il mio silenzio. Ecco sì, in silenzio perché sono inutili le parole dell’assenza.
La scruto la prima fotografia, il primo frammento del ricordo di quel minuscolo studio televisivo. L’hai descritto bene, mirabilmente, il tuo mondo, quello dal quale fuggire soltanto per ascoltare il cinguettio degli uccelli. In “Basta contare” — il racconto che chiude il tuo libro — lo hai colorato con quella sapienza che solo un comunicatore esperto poteva disegnare, la stessa sapienza dei semplici.
Ed eccola finalmente la prima fotografia: tu seduto sul tuo sgabello, a contare i passi della tua mente che cerca frettolosamente il difficile cognome dell’autore di turno. Eccola nell’eloquio colorato della tua semplicità, caratteristica importante e niente affatto scontata.
Ma non solo libri nella tua carriera. Attualità, giornalismo, l’innata capacità di tratteggiare un mondo che si vede anche solo con gli occhi dell’anima. E quindi quel “TG insieme” da cui, forse, hai tratto il tuo primo racconto, quella “Porta dei sogni” che ha rappresentato però l’incubo di un mondo che sta andando troppo veloce.
Un mondo che volevi fermare, per scendere nella tua fotografia. È bello a volte fermarsi. Essere riconosciuto non perché mettevi gli occhi sulla mia faccia, ma perché qualcuno — la dolce Alba Chiara — portava i tuoi occhi con sé e ti lasciava i suoi, come segno di un’intima appartenenza.
Come nasce una storia Umberto?
Come si riconosce “La forza del destino”? Come si fa a comprendere se siamo lupi o iene, o — ancora peggio — uomini con l’iniziale minuscola?
Tu lo sai, noi no. Perché forse siamo noi ad esser fermi in una fotografia.
E ti rivedo in un’altra immagine, mite nei modi e nei termini, estremamente elegante mentre cadenzi il tuo eloquio rotondo. Ti rivedo sorridente e gentile, pronto allo scherzo e soprattutto all’ironia. Ti ho scoperto saldo e rigoroso nei principi, fedele alla strada intrapresa, coraggioso nell’affrontare le mille difficoltà del vivere quotidiano.
Ora nella fotografia che ci ferma io potrei salutarti e lasciarti andare. Però non ho ancora capito: come nasce una storia, Umberto?
E leggo ancora una volta il tuo terzo racconto, quello che dà il titolo all’intero libro. “È così che nasce una storia”. Lo conosco bene, ho firmato la presentazione, ho curato l’editing, eppure rileggerlo mi dona sempre un’emozione diversa.
E nella consolazione della lettura all’improvviso comprendo: la storia nasce dalla forza delle scelte, dalla capacità di plasmare la nostra esistenza. “Quisque faber fortunae suae”. Oh sì, tu sì che sei stato artefice del tuo destino. L’hai plasmato e piegato con la forza della determinazione, l’hai vinto quando questi credeva di averti sconfitto. E rileggere la tua storia mi dona un’inspiegabile serenità, ma anche una voglia irrefrenabile di discorrere ancora con te, di confrontarmi con la tua arguzia e di giocare con la tua ironia.
Ti penso e il pensiero dà forma a una fotografia, forse l’ultima. Ti vengo incontro, perché posso ancora vederti e leggerti e commentare il senso della tua immortalità, il tuo libro. Quello stesso che tieni in mano, che afferri quasi con pudore, con imbarazzo.
L’espressione persa, l’immancabile ironico sorriso sul volto e la consapevolezza che non si diventa immortali solo per aver scritto un libro, ma perché si è entrati nel cuore delle persone.
Mi fermo e ti guardo sorridere. Penso che sono stato fortunato a conoscerti, onorato di aver potuto lavorare con te.
E stavolta sorrido anch’io, perché nella sera che oscura le fotografie, posso ancora ringraziarti

Arturo Bernava

Nessun commento:

Posta un commento