venerdì 17 agosto 2012

L’Arte come strumento di introspezione e di scoperta, dell’incerto che ci fa crescere

Il profondo lavoro di introspezione e l’affascinante apparizione dell’artista sconosciuto fino al momento dell’incontro generano il senso e la magia di un’autentica esperienza estetica. L’artista dalle illustri origini abruzzesi, riscopre la mutevole natura del suo mare (il mare Adriatico) da un punto di vista banale ma non scontato. Soffermarsi sul qui e ora significa aprirsi alla natura del proprio essere e del proprio stare per rivalutare finalmente il senso di appartenenza e prepararsi ad un nuovo viaggio. Guardare attentamente ciò che crediamo di conoscere, tutti i giorni alla stessa ora, ci offre l’opportunità di conoscere davvero ciò che abbiamo davanti ai nostri occhi. Osservare il mare ci permette di guardare noi stessi grazie alla sua mutevolezza. Il suo fluire pacifico rivela la naturalità del continuo movimento che ci avvolge e ci guida …e quando inizio la mia opera di ricerca non so cosa scaturirà dentro di me tra qualche giorno o al 365° giorno. L’Ulisse Scatenato, istallazione di Antonio Lucifero (Roma 1968) presente al Mumi di Francavilla durante il 63° Premio Michetti ci offre uno spazio di riflessione utile al raccoglimento delle nostre energie da dispiegare in un nuovo viaggio. I confini dell’orizzonte sempre presente davanti all’obiettivo, davanti ai nostri occhi che iniziano a vedere ci rivelano l’immensità che ci appartiene e che ci riempie, l’infinità possibilità di trovare se stessi al di là di ciò che diamo per scontato. La ripetizione ci aiuta a comprendere e ci rende la libertà del nostro viaggio, che già compiamo e che non si interrompe.
Il progetto così vasto e metodico, la scelta di un soggetto primigenio e universale e infine, la realizzazione attraverso un materiale di immediata fruizione e l’eleganza della composizione rendono ad ogni spettatore la possibilità di regalarsi un momento di ponderata meditazione e il  respiro profondo dell’aria salmastra che ci riempie i polmoni. La pesantezza che blocca e accompagna chiunque accetti i propri limiti è la stessa che precede il momento della liberazione, del cambiamento, l’inizio di un nuovo viaggio.

Zaira Fusco

Recensione: LABIRINTO PRIMO di Davide Di Vitantonio

Libro interessante fin dall’indice, questo di Davide Di Vitantonio. I titoli delle poesie promettono una ricerca linguistica ed espressiva che incuriosisce e spinge immediatamente a una lettura attenta e partecipe. La promessa è mantenuta: le poesie offrono un panorama linguistico originale, ben lungi dall’essere semplice ricerca formale, fine a se stessa.

La prima poesia ha un incipit davvero brillante (una pagina lamenta il suo segno…), poi un po’ banalizzato da quel “bordo fallico” del verso 6, ma è solo un leggero difetto, ben presto la poesia si addentra in immagini che inducono alla riflessione, che a tratti sorprendono:


…sveglio di fuliggine

danzante alla collina, imparo ad osservare

i fiori della solitudine, coltivo il tributo

a largo di un’anfora di aceto.

(Sposa in inchiostro, alla carta)


Un tema classico, quello del ricordo, è subito dopo trattato in modo assai personale, come qualcosa da conquistare, più che come qualcosa da riguardare, su cui meditare:


Spogliati della grazia, ricopriti di vanagloria,

ma aspetta,

sono quasi arrivato,

sono quasi al limite del tuo ricordo

(Aspettami)


Tutto pare in vendita, lamenta più avanti il poeta (Bisogno), in un mondo che sembra privilegiare solo l’avere, nell’assenza più completa dell’essere. Una percezione distorta pare avvolgere il destinatario della poesia, sensazione favorita anche dall’uso dell’ipermetro


Hai tanti pensieri, hai ricordi, hai fame ma non gridi

ti tagli con un rasoio antico, il sangue

non lo vedi, ti manca la razione fetida

dell’addio, non vedi più di un ramo, secca passione,

l’albero è lontano, non vedi che un pinolo.


Il finale della poesia sorprende un poco, grazie anche alla dislocazione grafica, all’inizio di una pagina successiva, ma chiude con efficacia il cerchio aperto dai primi cinque versi:


Perdonate principessa,

quanto volete per una carezza?


A tratti, però, capita che le metafore appaiano un po’ forzate, risapute, che sembrino un gioco a incastro più che un fluire dell’ispirazione. La poesia appare allora “faticosa”, sostanzialmente non riuscita. È il caso, a nostro parere, di “Decidi serva, naviga regina”. Ma è solo un episodio, subito il lettore incontra la bellissima “Donna”, che avvince con la sua apparente semplicità.


Ancora, ecco Estate: un tema abusato trattato invece in modo originale, con immagini e metafore estremamente evocative. Una poesia davvero riuscita.


Si intuisce come questo giovane scrittore induca più alla scrittura di un saggio che a una semplice recensione. Non mi resta che invitare alla lettura di questo libro: vi si scopriranno momenti di alta poesia, che intenzionalmente ho voluto solo sfiorare in queste poche righe.


Giancarlo Giuliani



Davide Di Vitantonio

Labirinto primo

poesia

pagine 60, € 10,00

ISBN: 978-88-97364-42-9




mercoledì 15 agosto 2012

Recensione: PROFILI D'ALBERI di Marilena Ferrone

Chi sfoglia questo libro rimane immediatamente colpito da versi ed espressioni che denotano un approccio alla vita e alla poesia di natura non banale, ma profondamente sentito e rivissuto. L’autrice riesce infatti a cogliere il respiro dell'esistenza al di là di ogni facile soluzione, anche se, a volte, il volo della mente appare “eresia” e le parole sembrano solo “stratagemmi”, sì che il cuore ne resta stordito. Sempre però riemergono un forte senso dell’esistere e una vitalità senza compromessi.
L’autrice parla d'amore in modo linguisticamente non convenzionale, con metafore che a tratti sorprendono. Il lessico è personale, vigoroso, e le scelte sonore esprimono forza (si veda il prevalere delle "r" in Il dono, in particolare nel verso 9, "… e compromessi per dragare l'amore"). Ancora, il binomio lessico forte-amore è ancora più evidente in La gioia, con il susseguirsi dei verbi "disossare/ cotonare/ pedinare/ quietanziare/ codificare/ riesumare".
La poetessa non ci conduce però in una dimensione atemporale, anzi ricorrenti s’insinuano tra le pagine i temi del trascorrere del tempo, della memoria di un passato che sempre ritorna, che si fa presente e intride di sé il cammino verso il futuro:
... da scarniti cieli
ricucire a sorsi il desiderio
di misurare a passi l'avvenire ... (L'avvenire).

Tutto ciò, però, genera malinconia, non tristezza, oltre ad attimi d’intensa tenerezza (Dal bene all'infinito, dedicata al padre). Dolori e momenti di verità spingono a una profonda riflessione su se stessi, sempre rinnovando però il desiderio di vita e di amore. Ne è esempio, Vivere, che citiamo integralmente:

Lungamente ho aspettato
dove annuvola il crocicchio
e i crocus consumano primavere
Dove albeggiano le piccole mani
e le dolci parole
Dove di schianto piove
come un grido nell'aria
un tonfo sul cuore
Inutilmente
dove il mondo si dipana
e un daziere ingordo
assottiglia la luce

Proprio questo senso del tempo è creatore di poesia: “nel baccanale dell'eterno cielo / l'enigma del trascorrere è poesia". Va detto, comunque, che l’intima unità delle poesie che compongono la raccolta rende a nostro parere inutile la suddivisione in sezioni. Le poesie hanno la capacità di costruire un itinerario che non necessita, per un lettore attento, di indicazioni. Esse "parlerebbero" anche senza titoli. Si pensi all'incisività con cui la poetessa suggerisce l'incanto dello sguardo di una bambina:
Ero bambina
indeclinabile figlia della terra
un guizzo di luce
di sbieco alla montagna
sbracciata allo stupore (Infanzia)

Spesso, poi, la versificazione diviene ancora più fluida, leggera, i versi volano l'uno dietro l'altro, il linguaggio si fa lieve:
Abiterai
un profumo di ginestra
o un sogno
signora delle fate
Sarai il frammento
che rinfranca le ciglia
la breccia
che penetra i ricordi
Avrai il passo
angoloso di donna
che sfuma
la guazza sui fiori
e volerai
in mano
un sole impagliato
per incantarmi in poesia
la spuma del mare

Come s’intuisce facilmente anche dal titolo della raccolta, è la natura che aggiunge forza al cammino dell'esistenza. Ciò è vero in numerose poesie, ricchissime appunto di elementi naturali, mai però sovrapposti, ma sempre intimamente connessi alle emozioni dell’autrice. Si legga Profili d'alberi, con il suo finale molto espressivo, quasi una summa della visione del mondo dell'autrice:
Terra
che a sostenerla s'ama
che attende dai ricordi
la forza di esistere.

Un bel libro, non banale, anzi molto promettente. Attendiamo con fiducia l'autrice a nuove prove.

Giancarlo Giuliani


Marilena Ferrone
Profili d’alberi
REA edizioni, L’Aquila 2008
Euro 10,00

venerdì 10 agosto 2012

Recensione: COME UNA FALENA NELLE NOTTI D'ESTATE di Fiammetta Ferzi (Edizioni Il Ciliegio)

Fiammetta Ferzi ci offre un diario intimistico e appassionato, mediante il quale affacciarsi nel mondo complesso e affascinante dell’universo femminile.
Non un manifesto femminista o inutilmente rivendicativo di spazi e emozioni non concesse, quanto un viaggio sincero nelle aspettative, nelle delusioni, nelle gioie, e più in generale nella vita di una donna che ricerca la propria ragione di essere e la trova negli occhi smarriti di un bambino.
Viola, la protagonista del romanzo, è una donna come tante, dalla vita in apparenza serena. Nella sua esistenza, però c’è un vuoto profondo e sordo, che non intende ascoltare le scuse della ragione. È impossibile ascoltare la ragione, quando il cuore grida forte il proprio disagio!
E così Viola decide di partire, alla ricerca di un passato che dia significato al proprio presente e soprattutto sul quale fondare un futuro inizialmente incerto e fumoso.
Tornare sui luoghi della propria infanzia, significa per Viola comprendere le radici di un dolore mai del tutto accettato. E comincia quindi una sorta di percorso salvifico che deve affrontare la propria profondità nel dolore viscerale del mondo, degli “altri”: del “fallito” Marcello, della insoddisfatta Matilde, sino agli occhi di un bambino sconosciuto. E poi della
Lei per eccellenza, della madre di Viola che involontariamente rivela alla figlia un trascorso di scelte difficili, mascherate con il velo dell’apparente leggerezza.
Non è un percorso semplice quello che porta il proprio dolore a confrontarsi con quello degli altri. Anzi, è spesso un procedimento rischioso, dal quale potrebbe essere possibile non riemergere e che comunque dal quale non si può (e non si deve!) uscire con le stesse paure dell’inizio.
Fiammetta Ferzi si dimostra, al suo esordio letterario, come una scrittrice capace di suscitare emozioni, forse perché il suo è un narrare che nasce delle emozioni. Non si nasconde dietro le convenzioni che spesso ingannano gli autori meno esperti, e affronta – onesta, ma determinata – il difficile compito di raccontare un mondo complesso come quello dell’animo femminile.
Ripercorrere la vita di una donna, per una donna che si rivolge principalmente a un pubblico femminile, può far incorrere nel facile – ma quanto mai ingannevole – abbaglio che tende a escludere il mondo maschile da certe dinamiche che portano all’acquisizione di una consapevolezza nuova. Invece “Come una falena nelle notti d’estate” è un libro che si rivolge anche e soprattutto a lettori che hanno voglia di comprendere – almeno in parte - la complessità dell’animo femminile, per carpirne i sogni e trasformarli in desideri esauditi.
Procedimento quanto mai complesso, ma alla portata di anime sensibili, che prescindono dal genere di appartenenza, per trasformarsi in recettori di emozioni, che tendono alla felicità ricercando la propria viscerale ragione di vita.

Arturo Bernava


Fiammetta Ferzi
COME UNA FALENA NELLE NOTTI D'ESTATE
Il Ciliegio, 2012
Pagg. 244 -
Euro 16,00



lunedì 6 agosto 2012

Sandro Naglia: LA PARTICELLA DI ...

La conferma dell’esistenza del Bosone di Higgs (o, per essere più scientificamente esatti: l’osservazione di una particella con caratteristiche compatibili con il B. di H.), annunciata ufficialmente dal CERN di Ginevra il 4 luglio scorso, ha giustamente monopolizzato le prime pagine dei giornali, seppure per brevissimo tempo. Devo dire che fa piacere vedere una straordinaria e capitale scoperta scientifica sostituire una volta tanto le povere beghe politiche strapaesane nell’attenzione imposta dai mezzi d’informazione al pubblico (anche se sospetto che i giornalisti abbiano colto al volo soprattutto il lato “folkloristico” della notizia, incluso lo scienziato in lacrime ecc.).
Io non sono affatto un addetto ai lavori, ma detto in soldoni l’importanza della conferma dell’esistenza di questa particella — che era stata ipotizzata fin dal 1964 — è legata al suo ruolo di “aggregatore” della materia. Nella teoria del Big Bang c’era ancora “l’anello mancante” che portasse dal manifestarsi dello spazio-tempo dopo l’esplosione originaria al primo istaurarsi della materia: il Bosone di Higgs sarebbe proprio la particella che, conferendo la massa alle particelle, darebbe di conseguenza origine alla forza di gravità, creando le premesse per l’aggregazione della materia. Di qui il soprannome di “Particella di Dio”.
Premetto a quanto segue: io personalmente, seguendo una tradizione filosofica che risale ai Veda e passa per Parmenide, credo in un Universo eterno, increato, immortale e onnicomprensivo, dove quindi non “c’è bisogno” della figura di un Dio creatore, e d’altro canto il Big Bang — che sarebbe la matrice della nostra stessa possibilità di concepirlo, l’Universo — si sarebbe manifestato in ogni caso all’interno di un “qualcosa” preesistente (dal Nulla non può originarsi nulla).
Quello che forse non tutti sanno è che il soprannome “Particella di Dio” dato al Bosone di Higgs deriva dal titolo di un libro di fisica divulgativo: The God Particle: If the universe is the answer, what is the question?, pubblicato nel 1993 dallo scienziato Leon Lederman (la traduzione italiana è stata pubblicata da Mondadori nel 1996). Questi però aveva originalmente soprannominato il B. di H. “Goddamn particle”, che in italiano si dovrebbe rendere con un’espressione a metà tra “particella maledetta” e (perdonatemi) “particella del c...”, a causa della sua inafferrabilità e resistenza all’identificazione da parte dei fisici. L’editore del saggio censurò l’espressione, e la abbreviò in “God particle”, data anche la valenza metaforica che poteva derivare da tale soprannome (che poi bisognerebbe tradurre correttamente “Particella-Dio” e non “di Dio”).
Higgs ha sempre rifiutato questa definizione, perché — da ateo — la trovava offensiva nei confronti dei credenti, dato che oltretutto l’esistenza di questa particella avrebbe potuto finire di smantellare — almeno da un punto di vista “razionale” — molti pilastri su cui si basano diverse religioni riguardo all’idea di una Creazione.
E che non si dica che gli atei sono sempre degli oltranzisti...



REPLICHE


Marco Tornar: Che la particella sia di per sé nozione atea non mi pare una novità — la novità semmai è la Particola — un c... non ci vuole a sistemare l’universo SENZA il Corpo Purissimo di Nostro Signore Gesù Cristo — il problema è il contrario —


Giancarlo Giuliani: Non vi è contraddizione tra scienza e “Dio”, a meno che non si consideri un Dio con “caratteri personali”, cosa che solo la nostra suprema presunzione di uomini poteva produrre. Credo in un universo come corpo unico, e me ne sento cellula, ma il passaggio a indicare un Dio-persona come autore dello stesso non ha alcuna giustificazione filosofica, è un atto del cuore, della speranza, o, se volete, della paura. La scienza non c’entra. Abbiamo fatto un passo avanti nella conoscenza. Questo è tutto.


Marco Tornar: La conoscenza è tracotanza — c’era scritto pure a Delfi — Ma per essere attuali “Tutto questo ritornare dimostra solo quel che dico io, che non esiste progresso — e si gira in un cerchio” (Lacan).


Arturo Bernava: Quando una particella mi invaderà il cervello, il cuore e l’anima (ovunque essa sia, quella cosa nera e putrida!) allora la chiamerò particella di Dio. / Quando una particella la chiamerò e sentirò una pressione sul capo e la certezza che non sono solo, allora la chiamerò particella di Dio. / Quando una particella mi darà una speranza, quando tutto intorno a me sembra averla persa, allora la chiamerò particella di Dio.
Sono molto soddisfatto che la ricerca scientifica si evolva e dia risposte sino ad ora soltanto ipotizzate. Ma ritengo profondamente ingiusto nominare il nome di Dio invano, soltanto per questioni di “marketing”. Come dice Sandro Naglia nel suo articolo, la traduzione letterale non è “particella di Dio” e allora perché chiamarLo in ballo senza motivo? Forse per avere più risalto sui giornali di tutto il mondo? Non voglio sminuire la portata della scoperta (che lo ripeto - sebbene io sia un profano della materia - mi rende in qualche modo orgoglioso), ma sono convinto che se l’avessero chiamata “particella del cavolo” non avrebbe avuto tutta questa risonanza.
Ecco... partire da una “scorrettezza” lessicale, in nome di una maggiore risonanza mediatica, probabilmente nulla toglie al valore della scoperta, ma dal mio punto di vista ne opacizza l’importanza. Un po’ come sei io scrivessi un libro e invece di firmalo Arturo Bernava lo firmassi Gesù Cristo, perché non sono molto convinto del contenuto del libro e allora punto tutto sul nome in copertina.
Lo ammetto: ho estremizzato un po’ il concetto (giusto un po’), però pure loro...


Marco Tabellione: La scienza non potrà mai avere l’ultima parola, per quanti sforzi faccia, per quanti passi evolutivi compia (sempre che si possano continuare a chiamare evoluzione certe aberrazioni dell’espansione tecnologica), rimarrà sempre un passo in più che essa non sarà in grado di colmare. E’ come per i numeri, sono infiniti perché ne puoi sempre aggiungere uno. Purtroppo, o meno male a seconda dei punti di vista, si potrà sempre aggiungere Dio alla fine dell’ultima scoperta. Chi l’ha fatta questa particella di Dio? Dio? E chi è Dio? Dov’è? Questo la scienza non potrà mai dirlo, e forse neanche vuole. Ciò significa che la religione avrà sempre il suo spazio, sempre la sua importanza. Senza tenere conto del fatto che la religione può toccare dimensioni spirituali che la scienza ignora e vuole ignorare. Certo, non è solo alla religione che dobbiamo attribuire il compito di indagare la dimensione spirituale, ma è indubbio, per quanto mi riguarda, che al di là di quella particella, al di là dell’ultimo numero, si apre lo spazio spirituale e misterioso, e lì non è la ragione che domina. Il resto sono solo beghe su nomi.